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Verhoeven: fuga da Hollywood con una spregiudicata Huppert

Incontro con Paul Verhoeven, in Italia per presentare il suo ultimo, controverso film "Elle" con Isabelle Huppert, applaudito a Cannes e ostacolato negli Stati Uniti

ROMA - Paul Verhoeven in fuga da Hollywood. A Roma per presentare "Elle", applaudito in anteprima a Cannes e in uscita nelle sale il 23 marzo con Lucky Red, il 78enne regista olandese ha rivelato come per il suo ultimo progetto non ci sia stato spazio negli Stati Uniti: "Non abbiamo trovato finanziamenti nella città in cui vivo, Los Angeles, e non siamo neanche riusciti a trovare un'attrice che volesse interpretarlo". Tutta colpa di una storia densa di mistero, sarcasmo e trasgressione, che viola uno dei tabù della società contemporanea: il rapporto vittima/carnefice, in seguito a una violenza sessuale. Un ruolo delicato, che solo una fuoriclasse come Isabelle Huppert (candidata all'Oscar per questa interpretazione) poteva portare a termine con la massima disinvoltura, consacrandosi icona sexy anche a 63 anni suonati: "Alla fine - racconta Verhoeven - ho dovuto girarlo in Europa e così sono andato da Isabelle, che aveva già contattato l'autore del libro (Philippe Djian, ndr) ancor prima che Said Ben Said, il produttore, mi contattasse negli States per propormi l'adattamento cinematografico di 'Oh'. Le ho chiesto scusa per non aver subito pensato a lei, ma si è resa subito disponibile, senza alcun moto di orgoglio. Non solo: ha anche recitato senza opporre alcuna resistenza allo script di David Birke. D'altronde parliamo di un'attrice estremamente audace, fantastica quando crede nel ruolo e del tutto indifferente al problema di andarsi a cercare le simpatie del pubblico".
Non è la prima volta, del resto, che il maestro olandese - guilty pleasure dei cinefili anni 80, con pellicole off come "Spetters" e "Il quarto uomo" - deve abbandonare la terra promessa dei suoi kolossal (da "Robocop" a "Starship Troopers", da "Atto di forza" a "Basic Instinct") - per tornare nel Vecchio Continente a realizzare film. Era già successo ad esempio nel 2006 per "Black Book". E a suo dire non è un caso: "Credo che in Europa ci sia più libertà di fare film rispetto agli Stati Uniti. Basta guardare quello che sta succedendo da quelle parti", aggiunge Verhoeven, alludendo alla presidenza Trump: "Spero che Hollywood possa continuare questa mobilitazione di protesta anche realizzando film apertamente critici nei confronti di questa amministrazione. Ma lì la prima preoccupazione rimane sempre quella di guadagnare rispetto agli investimenti effettuati".

Paul Verhoeven - Isabelle Huppert - ElleResta la difficoltà di spiegare al pubblico un film complesso come "Elle", con il suo perverso intreccio di infanzia rubata, violenza sessuale, cinismo ed emancipazione femminile. Il tutto senza alcuna implicazione morale, "come del resto in ogni mio film", tiene a sottolineare Verhoeven. Vincitore di 2 Cesar e altrettanti Golden Globe (attrice e miglior film straniero), "Elle" mette in scena con rigore e disincanto la storia di Michèle (Isabelle Huppert), businesswoman che gestisce gli affari alla stessa stregua dei rapporti sentimentali: con il pugno di ferro. Un ex-marito alle prese con giovani amanti, un figlio bamboccione in attesa di paternità, un amante, nonché marito della sua migliore amica e partner d'azienda, una madre attempata che si trastulla con la chirurgia plastica e prestanti gigolò e un padre da 40 anni in galera per aver ucciso 27 persone: Michèle tiene tutti (e tutto) sotto controllo. Anche il brutale stupro di cui è vittima nella sua casa, testimoniato dall'attonito gatto, sembra non ferirla più di tanto: i vestiti buttati nel cestino, un lungo bagno caldo e via (quasi) come se niente fosse. Alla fine, però, dopo essersi attrezzata con spray al peperoncino e un'ascia, riuscirà a smascherare il violentatore, iniziando con lui un gioco sadomaso pericoloso e fuori controllo. "Abbiamo raccontato il personaggio di Michèle così com'era nel romanzo - spiega ancora Verhoeven - Una donna che ha subito determinati eventi durante la sua infanzia, che ha forgiato il suo carattere in seguito a quello che fece il padre quando era solo una bambina. Una donna che però non vuole essere considerata una vittima, e lo capiamo anche quando racconta che crede di essere stata violentata, quando sappiamo benissimo che quella violenza c'è stata, ed è stata atroce". Da qui la metamorfosi del personaggio, che spiazza tutti: "Il passaggio da vittima a colei che stabilisce questa sorta di rapporto sadomaso con il suo stupratore credo sia alla base delle difficoltà che abbiamo avuto a trovare finanziatori in America e, in ultimo, a escluderci la possibilità di entrare nella cinquina dell'Oscar per il miglior film straniero. È un qualcosa che da quelle parti non è stata troppo digerita, si vede. Quindi questa esclusione ha un sapore politico".

Nonostante la durezza del tema e le atmosfere noir iniziali, Verhoeven dispensa a piene mani la sua proverbiale ironia. Fatto anche questo che finisce col rivelarsi spiazzante per lo spettatore non preparato a trovarsi di fronte a uno dei suoi film "degenerati": "L'ironia presente nel film - spiega il cineasta di Amsterdam - era anche nel romanzo di Philippe Djian. Nel libro c'è l'elemento-thriller, ma anche commedia e altro, un po' come la vita che non è certo classificabile con un unico genere. Nel cinema si tende troppo spesso a categorizzare, a rimanere intrappolati. Non volevo che il film fosse incasellato in un genere, d'altronde capita a chiunque di trovarsi la mattina a vedere cose terribili e la sera a ridere per tanti altri motivi. Era qualcosa che non avevo mai fatto prima: una storia con dieci persone intorno ad un tavolo, le tensioni fra loro... Fare un film sulle persone è molto diverso da fare un film su Robocop".
Come molte sue pellicole, "Elle" si presta facilmente alla strumentalizzazione. A dispetto della lettura più semplice (la mancata denuncia dello stupro e il rapporto ambiguo con il violentatore), emerge invece la forte carica d'indipendenza delle figure femminili, contrapposta alla vacuità/crudeltà dei loro riferimenti maschili: "Sì, è un film in cui le donne appaiono più forti, vincitrici - spiega Verhoeven - Ma del resto questa storia non ha niente a che vedere col femminismo o con temi come la violenza sulle donne, è un film su un personaggio, Michèle, che sceglie di non abbandonarsi alla negatività".
Gustosi i siparietti a sfondo religioso, all'interno della pellicola, cui presta il fianco la fervente cattolica Rebecca (Virginie Efira). E in una scena del film, compare anche Papa Francesco, per il quale però il dissacrante cineasta di Amsterdam riserva inaspettate parole di stima: "Non ho nulla contro di lui, e questo è sicuramente il miglior papa che abbia mai visto".

Per quanto riguarda i suoi progetti futuri, il regista svela: "Prima del film su Gesù (tratto dal libro "L'uomo Gesù: la storia vera di Gesù di Nazareth", scritto dallo stesso Verhoeven ed edito da Marsilio, ndr), girerò un film (titolo provvisorio 'Blessed Virgins') su due suore, ambientato in Toscana nel Medioevo e ispirato a una storia vera accaduta nel Seicento in un monastero di Pescia, vicino Firenze. È tratto dal libro della studiosa americana Judith C. Brown, 'Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (Studies in the History of Sexuality)'. Lo girerò in Italia e non vedo l'ora perché è la prima volta che faccio un film qui nel vostro paese".
Infine, ai più avidi di gossip, il regista di "Basic Instinct" svela come nacque la famigerata scena di Sharon Stone che accavalla le gambe senza mutandine: "Me la sono ritrovata nel montaggio del film. L'avevo dimenticata e non avevo mai pensato che fosse speciale. Mi sono stupito che l'addetto al montaggio l'avesse recuperata: lui era pure un brav'uomo cattolico - ricorda col suo ghigno sardonico - Mi ero ispirato a una compagna di università che girava sempre senza mutandine. Io e i miei compagni le chiedevamo sempre: 'Potresti accavallare le gambe?'. E lei lo faceva senza problemi, precisando: 'È proprio per questo che non porto le mutandine!'". E tutti giù a ridere, prima che cali il sipario sulla nuova, spregiudicata incursione cinematografica in Italia del maestro olandese.





Verhoeven: fuga da Hollywood con una spregiudicata Huppert