Ondacinema

recensione di Matteo De Simei

 

"Almeno ci ho provato, vacca troia... Almeno ci ho provato"
Randle McMurphy

 

La parabola di Kesey - I draghi esistono

1959. California. Kenneth Elton Kesey è un corpulento ventisettenne, campione di lotta al college e raffinato scrittore. Mentre la Beat Generation comincia a imperversare un po' ovunque in America, Ken ne subisce indirettamente le influenze, sia per quel che concerne il rifiuto delle regole imposte da una società già lobotomizzata dal terrore comunista, sia per la scelta di voler rappresentare la nuda e cruda verità della condizione umana. Imbottito di Lsd e mescalina come ogni buon beatnik che si rispetti, si fa assumere come inserviente nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Menlo Park che ospita i congedati dell'esercito. Il suo scopo? Affrontare un viaggio interiore volto allo smantellamento dei falsi stereotipi indottrinati dalla società. Parlando spesso con i pazienti, era infatti giunto alla conclusione che questi non fossero "pazzi" ma soggetti rigettati dalla società perché non idonei ai comportamenti e ai pensieri convenzionali imposti dalle istituzioni.
Tre anni dopo l'inizio del suo personalissimo esperimento, Kesey completa la stesura del suo primo romanzo, "One Flew Over the Cuckoo's Nest" e dà alla luce un'autentica icona della libertà, quella dell'antieroe Randle McMurphy, scriteriato pervertito condannato per aver violentato una minorenne. La sciagurata, benché indelebile, vicenda del protagonista rasenta i limiti del grottesco: dopo che questi viene internato in un manicomio dell'Oregon, in molti si domandano se quello sia il posto giusto per uno come lui, i più furbi pensano infatti che finga di essere pazzo per evitare il lavoro e la galera. "Non è pazzo, ma è pericoloso e malato", sentenziano gli psichiatri. E in effetti i miscredenti non hanno torto perché la mente di Randle è in realtà "una stupenda, maledetta, meraviglia della scienza".
Kesey dedica a uno degli psichiatri che lavorano con lui nell'ospedale la sua opera prima: "Who told me dragons did not exist, then led me to their lairs" ("A chi mi ha detto che i draghi non esistono, per poi condurmi dritto nella loro tana").


Il destino di Forman - Dal nido dell'Europa al cuore dell'America

A seguito del clamoroso successo del libro, i diritti di "One Flew Over the Cuckoo's Nest" vengono inevitabilmente acquisiti da Hollywood, ma solo dodici anni più tardi arriverà il tanto atteso adattamento cinematografico. Nel mezzo di quel decennio si crea un fraintendimento al limite dell'incredibile. Kirk Douglas era stato il primo a intuire il fiuto del successo colto da Kesey, arrangiandone un dramma già l'anno successivo a Broadway con lo stesso attore come protagonista. In seguito incontrò di persona il cineasta cecoslovacco Milos Forman con l'obiettivo di fargli leggere un libro che presumeva fosse ideale per il regista. Quel libro però non arrivò mai, confiscato dalle autorità ceche nei primi moti della Primavera di Praga. Deluso da Forman e dalle produzioni dell'epoca con le quali non riuscì a convincere nessuno del progetto, Douglas cedette i diritti al figlio Michael. Quando Forman, emigrato in America, ricevette una copia del libro da Douglas junior non aveva la benché minima idea che si trattasse dello stesso libro suggeritogli dal padre quasi dieci anni prima.
Ma perché i Douglas puntarono in modo così ossessivo sulla figura condottiera di Milos Forman? Nato sotto l'influsso del nazismo e cresciuto tra le purghe della dittatura stalinista, Forman è stato autore nel suo paese di corti e lungometraggi dal forte impatto documentaristico. Il clamore internazionale arriva con il dramma figlio del movimento Nová vlna, "Gli amori di una bionda" (1965) e soprattutto con la commedia grottesca contro il regime di "Al fuoco, pompieri!" (1967). Ma è una volta arrivato in America che Forman assimila con impressionante velocità i contenuti e le contaminazioni europee con la spettacolarità della factory hollywoodiana. Tanto da permettersi di girare dopo appena un anno dal suo arrivo nel nuovo continente una caustica satira sui vizi degli americani, "Taking Off" (1971), prima di divenire negli anni Ottanta e Novanta uno dei più grandi interpreti di usi e costumi a stelle e strisce.
Ma a dispetto della figura intraprendente del regista, capace di far subito breccia nel cuore di Los Angeles, non fu ugualmente facile girare "Qualcuno volò sul nido del cuculo", come dichiarò lo stesso Forman in una delle tante interviste. Le major non credevano in un film ambientato in un manicomio e il budget era ridotto al minimo indispensabile. Ai produttori Michael Douglas e Saul Zaentz serviva un regista a buon mercato ma che al tempo stesso stimassero professionalmente. La svolta avvenne quando accettò di recitare Jack Nicholson e il budget finì per triplicare, al punto tale che la United Artists si permise il lusso di liquidare con un parziale indennizzo finanziario Kesey, furibondo per essersi visto privato del suo narratore principale nella stesura della sceneggiatura (che nel libro è il "grande capo" Bromden). L'unico uomo al comando del timone diventa così il solo Milos Forman.


Buoni e cattivi - Un regime totalitario e il suo potere assoluto

La tirannia spietata mascherata da buone intenzioni è forse il fulcro dal quale si sviluppa l‘intero cinema del cineasta ceco, basti pensare alle tragicommedie ambientate in Europa sotto l'influsso del regime comunista ma anche al coraggioso esordio nel suo paese d'adozione in cui svela un gap generazionale accomunato da una società, quella degli anni 70, tremendamente confusa e insicura. "Agli americani non dispiace essere criticati, ma se non ci sono buoni e cattivi al pubblico americano non piace. Dicono: e adesso? Buoni e cattivi li rendono soddisfatti". Con "Qualcuno volò sul nido del cuculo" Forman realizza un trait d'union tra il suo stile anti-establishment e un nuovo registro che va incontro al desiderio di fruizione del pubblico americano. Come nel libro di Kesey, Forman disegna l'outsider McMurphy quale un vagabondo eccentrico e dissennato che non riesce a uniformarsi alla massa. Quando però capisce di essere entrato in una prigione a tutti gli effetti, comincia la disperata lotta contro la tirannia ospedaliera e la crudele infermiera Miss Ratched. Cerca di infondere agli amici, ancor prima che pazienti, lo spirito di ribellione che lo anima per raggiungere di nuovo l'agognata libertà e divincolarsi dai tentacoli della coercizione istituzionale. Il suo è uno stimolo intellettuale e fisico per i pazienti, di gran lunga più terapeutico di quello imposto dall'ospedale, malgrado la condotta provocatoria e tutt'altro che politically correct.
La sensibilità di Forman va però oltre le pagine del romanzo, soprattutto nella capacità di innestare una componente puramente, sfacciatamente politica (resa manifesta all'interno dell'intreccio narrativo con la votazione, tutt'altro che democratica, che sancisce il divieto di guardare in tv le finali di baseball). Basti pensare alla differenza con la quale il regista ribalta la figura chiave dell'infermiera Ratched. Kesey la immagina come un donnone rozzo e imponente, dalla "gola cartilaginosa", mentre nel film viene delineata come una donna dal viso angelico che dispensa calma e cerca in tutti i modi di apparire ragionevole nonostante il suo animo maligno. Forman si interessa tanto al fattore psicologico dei personaggi quanto a quello della narrazione e alle implicazioni sociali che questa comporta. Come nelle pellicole europee del periodo stalinista, il vero male viene dalla forma inflessibile e implacabile di una figura autoritaria suprema. Solo che il livello drammaturgico qui assume un'impronta ancor più marcata (e raggiunge il suo spannung con il tentato strangolamento di McMurphy ai danni della capo infermiera) che fa coincidere il suo fine corsa con la tragedia. Quella nobile ma insana della lotta individuale contro un regime totalitario (la clinica) e il suo potere assoluto (Miss Ratched).

Dopo aver abbandonato la Cecoslovacchia, Forman ha una forte conoscenza intuitiva per le figure autoritarie che impongono con forza i propri indottrinamenti. Mentre il film è in pre-produzione, il regista vede intorno a sé un'America frastornata, persa nello specchio del funesto conflitto vietnamita, ma non solo. Il 1973 è l'anno del golpe cileno e dello scandaloso Premio Nobel a Henry Kissinger per le sue spregiudicate e sanguinose manovre militari durante i governi Nixon e Ford, che hanno permesso l'affondamento di Allende e il successivo boicottaggio economico statunitense ai danni di Cile e Argentina. Da una prospettiva puramente allegorica, la realizzazione di un film come "Qualcuno volò sul nido del cuculo" rappresenta dunque la definitiva presa di posizione di Forman contro il governo americano e il personaggio della capo infermiera non è altro che un cordone ombelicale dei generali di guerra pilotati da Kissinger. L'impeccabile compostezza della donna nasconde infatti un risentimento che travalica l'odio (non si dimentichi che l'America degli anni Sessanta da cui ha tratto spunto Kesey è ancora imbevuta da un livore profondamente razzista) e il candore della tenuta è solo uno specchietto per le allodole all'interno della clinica per il letargo drogato dei degenti, che solo McMurphy riuscirà a "macchiare", svelandone una ben più torbida divisa militare (si pensi a quanto la donna tenga alla sua cuffia, quasi fosse un simbolo accessorio dell'uniforme bellica).


Tra fiaba e psicologia - Chi non sta fermo non pianta radici

Così come nel 1985 l'apologo creativo in chiave sci-fi permise a Terry Gilliam di realizzare con "Brazil" il film-manifesto contro il potere cinico e burocrate, già nel 1975 Milos Forman era riuscito a descrivere, con il suo immenso potere manipolativo, la natura crudele dell'uomo mediante il geniale ausilio della fiaba, evocata sin dal titolo (una filastrocca per bambini che recita: "Uno stormo di tre oche, una volò a est, una a ovest, un'altra sul nido del cuculo") e amplificata dalla celestiale colonna sonora di Jack Nitzsche, realizzata con improbabili strumenti musicali quali bicchieri di vetro, bacinelle d'acqua e una sega da taglialegna.
Col risultato che la pellicola possa sviare il pubblico verso un'interpretazione ambigua, ossia verso un approccio (apparentemente) superficiale e inverosimile nel descrivere un problema così delicato come quello dei manicomi. Niente di più sbagliato. Si pensi alla sequenza della gita in barca, dove Forman inscena una fantasia idealizzata nel bel mezzo del realismo, come lo è il finale, del resto. Il regista ceco sceglie deliberatamente un registro pateticamente falso e con un taglio da commedia al fine di ottenere un piglio macchiettistico dei personaggi (la presentazione dei pazzi evasi come luminari professori) e al tempo stesso profondamente evocativo. Per quanto la suddetta sequenza possa far sorridere e possa farci respirare l'aria aperta che claustrofobicamente viene negata non solo ai pazienti ma anche al pubblico per la quasi intera durata del film, non si può non ammettere che in tale circostanza il rapporto tra sanità e insanità mentale si estenda notevolmente fino a raggiungere un punto di non ritorno. Il disagio subito dal gruppo di "matti" a contatto con l'esterno non può che far presagire l'utopica intenzione di McMurphy di far coesistere in una società "normale" anche tutte quelle persone che non vi si integrano ma che hanno pur sempre "un mondo nel cuore e non riescono ad esprimerlo con le parole" parafrasando una bellissima canzone di Fabrizio De André. E difatti, McMurphy riesce nell'intento di catturare il grande pesce, esplicito elemento simbolico che rimanda alla libertà, ma non a fuggire troppo lontano dagli inseguitori. Anzi, la sensazione è che inconsciamente, masochisticamente, McMurphy ritorni indietro con il suo equipaggio come calamitato da chissà quale recondita necessità ("È curioso come l'uomo senta il bisogno delle istituzioni, le crei con l'idea che lo aiutino ma finisce per diventare loro proprietà, schiavo di qualcosa che è stato lui a volere").

Il destino del protagonista è infatti già segnato e conduce verso un'altra sequenza, altrettanto propedeutica ai fini dell'analisi, quella del festino notturno. Dopo aver lottato come un forsennato e aver agito di astuzia, Randle riesce insperatamente a intravedere la luce fuori dal tunnel (la finestra aperta) ma decidendo, per ben due volte, di non cogliere l'attimo per fuggire, lascia che la sua anima nobile e vagabonda (lo psichiatra gli chiede: "Conosce il detto ‘chi non sta fermo non pianta radici?'") venga risucchiata definitivamente dalla mefistofelica Mildred Ratched, anch'essa decisiva per le sorti di McMurphy quando in una riunione tra le alte cariche dell'istituto stabilisce, con un ingannevole gesto di magnanimità, di graziarlo dal carcere e lasciarlo tra le sue grinfie in manicomio. La mattina seguente all'abbuffata notturna a base di alcol e prostitute, la donna ha l'occasione propizia per trascinare il racconto verso il più crudele degli epiloghi. L'ira placida della lady di ferro (inevitabile il collegamento con l'Europa formaniana e con Margaret Thatcher - si pensi anche solo all'assonanza Thatcher/Ratched - Ministro dell'Istruzione del Regno Unito, che proprio in quel periodo aveva cominciato a far parlare di sé abolendo il latte gratuito nelle scuole per i bambini) si tramuta così in una doppia esecuzione capitale. Condanna Randle all'extrema ratio, la lobotomia, e spinge il balbuziente Billy a togliersi la vita, schiacciato dal macigno della madre opprimente e incalzato dall'infermiera che meschinamente gli ricorda il giorno in cui tentò per la prima volta il suicidio ("Sai, quello che mi preoccupa è come la prenderà tua madre... Tua madre e io siamo molto amiche e tu lo sai? Non credi che avresti dovuto pensarci prima?").
La psicoanalisi freudiana raggiunge nel finale un livello prominente e la figura maschile, dopo una lunga, estenuante lotta impari, viene letteralmente castrata da quella che dovrebbe essere la figura rasserenante per antonomasia, la figura materna (la protezione della mamma come quella delle istituzioni). Non è un caso che il ruolo femminile, oltre ad assurgere a malvagio antagonista, si riveli altresì impotente (l'assistente della capo infermiera) e prostituta (le amiche di Randle). Non si tratta di una mera provocazione misogina, ma dell'ennesimo simbolico atto di accusa nei confronti di un paese conformista e insensibile, che partorisce crudeltà e tarpa le ali della libertà.


Quarant'anni di celebrazioni e record
- Elogio della follia

"Qualcuno volò sul nido del cuculo" non avrebbe oggi il successo che si è portato dietro dal 1975 se non fosse per due punti nevralgici e vincenti in partenza: gli attori e la recitazione.
Forman ammette con disarmante semplicità che "tutte le scene sono dipendenti da Jack Nicholson". Non che si possa dire molto di più su uno dei più grandi attori di sempre (il più grande?), qui in uno dei suoi periodi più prolifici e ispirati (prima di Forman, nel giro di due anni contribuisce a realizzare tre capolavori, "L'ultima corvè" di Ashby, "Chinatown" di Polanski e "Professione: reporter" di Antonioni), ma in questa pellicola va sottolineata una delle sue più grandi qualità, l'eccellente improvvisazione di cui si serve per trasmettere in modo impeccabile l'humour e il pathos del suo eccentrico personaggio. Forman ha insistito molto sui comportamenti e sulle reazioni degli attori di fronte all'imprevedibilità dei veri pazienti del manicomio che agiscono da comparse, puntando soprattutto sul viso serafico di Louise Fletcher ("considero più interessante se sotto un profilo caratteriale forte scopriamo qualcuno completamente diverso e dobbiamo lentamente correggere l'opinione iniziale, scoprire lentamente il vero carattere di quel personaggio").
Ad accompagnare i due attori protagonisti, un cast artistico altrettanto fenomenale, composto tra gli altri da Christopher Lloyd, Danny DeVito, Vincent Schiavelli, Brad Dourif e la meteora Will Sampson. Tutti indotti dal regista a prendere parte alla visione del documentario di Friedrich Wiseman, "Titicut Follies" (1967), per essere consapevolizzati sulla forza che lega l'istituzione sociale alle persone. Sempre rimanendo nell'ambito degli ospedali psichiatrici, la materia cinematografica di "Qualcuno volò sul nido del cuculo" può trovare plurimi richiami anche con il thriller del 1963 "Il corridoio della paura" di Samuel Fuller, dove il dramma claustrofobico vissuto dal giornalista Johnny Barrett è, per certi versi, simile a quello vissuto da Randle McMurphy, per la loro estraneità al contesto e per l'ineluttabilità del loro destino una volta varcata la soglia del manicomio.

Si parlava del successo del film: agli Oscar la pellicola realizza l'en plein tra film, regia, attore e attrice protagonisti e sceneggiatura non originale. Non succedeva dal 1934 per "Accadde una notte" di Frank Capra e non succederà fino al 1991 quando "Il silenzio degli innocenti" riuscirà anch'esso in questa mirabolante impresa. In totale, la pellicola vincerà un totale mostruoso di oltre trenta premi. Fino al panegirico di citazioni e omaggi che arriva sino ai giorni nostri, a quarant'anni dall'uscita in sala.
Forman continuerà a descrivere la commedia umana del suo paese adottivo mediante il musical pacifista di "Hair" (1979), il romanzo storico di "Ragtime" (1981) e toccherà vertici assoluti nell'altro suo capolavoro "Amadeus" (1984), film sul "talento e sulla libertà, sulla loro incompatibilità con la società, che li distrugge in nome dell'ideologia". E ancora, prenderà le difese di uno scomodo provocatore come "Larry Flint" (1996) e del fragile Andy Kaufman in "Man on The Moon" (1999), in un mondo odierno dove capitalismo e falsa demagogia hanno fatto della conformità il nuovo credo.
Reietti, emarginati, incompresi, stravaganti. Inevitabilmente sconfitti.
Ma liberi, per sempre.
Come Randle McMurphy.


Contributi estratti dal sito ufficiale del regista: http://milosforman.com/it/


20/08/2015

Cast e credits

cast:
Jack Nicholson, Louise Fletcher, Brad Dourif, Christopher Lloyd, Danny DeVito, Vincent Schiavelli, Will Sampson, William Redfield, Sydney Lassick


regia:
Milos Forman


titolo originale:
One Flew Over the Cuckoo's Nest


distribuzione:
United Artists


durata:
129'


produzione:
Fantasy Films


sceneggiatura:
Bo Goldman, Lawrence Hauben


fotografia:
Haskell Wexler


scenografie:
Paul Sylbert, Edwin O'Donovan


montaggio:
Sheldon Kahn, Lynzee Klingman


musiche:
Jack Nitzsche


Trama
Il delinquente Randle McMurphy, finto malato mentale, condannato per abuso di minore, viene portato in un manicomio. Subito però scopre che la struttura psichiatrica è da molti punti di vista la peggior prigione che gli potesse capitare
Link

Sito ufficiale

Sito italiano