drammatico | Cina (2024)
Establishing shot su un vasto panorama desertico, scabro, lunare. Una muta di cani invade la scena, impazza nell'altopiano. Fa rovesciare un autobus. I passeggeri escono dal parabrezza sfondato. Arriva un'auto della polizia. Viaggia da destra verso sinistra, nell'inquadratura successiva da sinistra verso destra. La mdp indugia su un personaggio, un altro, un altro. La regia divaga, disorienta. Fino a quando, sempre mantenendo una rigorosa distanza, si fissa su Lang. Un ex-musicista, ex-motociclista al circo, ex-carcerato, ex-celebrità locale. Diretto a casa.
Casa è una città industriale, un crocchio di ciminiere spuntate da una campagna di cenere. L'alta profondità di campo invita a osservare i dettagli. Da osservare ci sono soltanto povertà e cani. Onnipresenti come la voce dello stato che parla attraverso la radio, gli altoparlanti, la televisione. La voce parla di rivoluzioni urbane, trasferimenti di massa, piani industriali. La prima inquadratura ravvicinata di Lang è un piano medio per la foto segnaletica. Come se l'identità fosse una patente. Calata per gentile concessione dal cielo grigio di una burocrazia provvidenziale, insieme all'impiego di accalappiacani. Lang fatica a reinserirsi, ma le cose sembrano svoltare quando rintraccia un pericoloso cane nero, sulla cui testa pende una grossa taglia.
Hu Guan vince Un certain regard a Cannes 77 con questo dramma di formazione che presenta sin dalla maestosa sequenza di apertura uno stile inconfondibile. La fotografia desaturata di Gao Weizhe, il volto da schiaffi di Eddie Peng e la regia ironica e compassata contribuiscono a mettere in scena un'epica intimista, dove antieroi taciturni si muovono sullo sfondo di un'epoca che non si lascia ridurre a semplice sfondo. In linea con Zhangke Jia e altri esponenti della Sesta Generazione, Guan racconta il senso di sradicamento di una gioventù strappata a una provincia sognante in perpetuo disfacimento, una frontiera labile in procinto di venire fagocitata dalla febbre edilizia e finanziaria. In questo caso la provincia è la Mongolia Interna, al limitare del deserto del Gobi, zona di estrazione mineraria e industrie pesanti. Un'immagine spopolata e quasi magica della Cina cui non siamo abituati. Eppure anche la Cina ha il suo West, fatto di acrobati circensi e cani randagi, imprenditori di bungee jumping e allevatori di serpenti, contrabbandieri di cani e cammelli arrosto. Una frontiera selvaggia che muta la sua pelle come i serpenti di Macellaio Hu, gangster locale con cui Lang è costretto a fare i conti.
Il tono satirico è più di un sottotesto. Le nuove pianificazioni urbane, che come spesso succede nei paesi comunisti impongono drastiche politiche sociali su larga scala, avvicinano uomini e cani nel comune assoggettamento a logiche fatali. La sceneggiatura si sfarina nella seconda parte ma la fotografia acida e sublime, memore dei paesaggi avventurosi di Ping He, calibratissima nell'uso dei colori, in particolare i grigi, esprime attraverso una regia incisiva uno stile sentimentale ma equilibrato, carico di un'ironia agrodolce e una visionarietà nostalgica.
cast:
Eddie Peng, Tong Liya
regia:
Guan Hu
titolo originale:
Gou zhen
distribuzione:
Movies Inspired
durata:
106'
produzione:
Seventh Art Pictures
sceneggiatura:
Ge Rui, Guan Hu, Wu Bing
fotografia:
Gao Weizhe
scenografie:
Huo Tingxiao
montaggio:
Matthieu Laclau He Yongyi
costumi:
Zhou li
musiche:
Breton Vivian