Prima di entrare nei dettagli del film di Federica Di Giacomo sembra opportuno fare alcune precisazioni: la prima è di tipo storico cinematografico e riguarda quello che forse è il lungometraggio per cui William Friedkin è diventato famoso ovvero "L'esorcista", girato dal regista americano nel 1974 e capace con il successo e sopratutto con le suggestioni suscitate dalla visione del film di inaugurare un vero e proprio filone dedicato al tema delle possessioni del maligno. In quel frangente Friedkin intervistato a proposito dello straordinaria accoglienza del suo film si disse meravigliato soprattutto del fatto che la sua opera venisse considerata un horror nonostante nelle intenzioni fosse stato girato con il realismo che si deve a vicende realmente accaduto e di cui il regista aveva appreso dagli archivi della diocesi che si era occupata di un caso simile a quello narrato nel suo film. L'altra, altrettanto utile riguarda i criteri all'interno del quale la giuria della sezione Orizzonti della mostra di Venezia che ha premiato il lavoro della Di Giacomo doveva scegliere le opere più meritevoli di riconoscimento. Si legge nella motivazione che il concorso internazionale è dedicato a quei film rappresentativi di nuove tendenze estetiche ed espressive del cinema mondiale" e ancora "di opere che si misurano con i generi e la produzione corrente con intenti d'innovazione e di originalità creativa".
Rispetto a queste delucidazioni "Liberami" non solo ha qualche punto in comune ma nel rapporto con ciò che è stato scritto riesce addirittura a stabilire una dialettica di segno positivo. Il documentario in questione infatti racconta le giornate di Padre Cataldo e in secondo piano di colleghi che come lui sono chiamati dalla Chiesa ufficiale ad occuparsi dei casi di persone tormentate dal Demonio. Trattandosi di preti esorcisti alle stregua del padre Merrin di Max Von Sydow "Liberami" prende "il diavolo per le corna" qualificandosi sin dalla prima scena per quello che è: la sequenza infatti è il prototipo estetico e contenutistico di quello che vedremo nel resto del film. Il baricentro del palcoscenico è infatti occupato da Padre Cataldo seduto dietro la scrivania al cospetto del quale vediamo una delle tante tante anime di cui giorno dopo giorno il prete si prende cura. A sottolineare l'importanza di ciò che sta accadendo, ovvero del momento in cui il sacerdote opera l'esorcismo sulla (presunta) vittima, vi è la sobrietà dell'ambiente pressoché spoglio di ogni suppellettile e il tipo di ripresa che si limita a fissare senza alcun movimento le persone all'interno del quadro. In questo contesto a risaltare è il particolare dell'inquadratura prevista dalla regista che se da una parte riprende il volto del prelato e ce lo mostra frontalmente, dall'altra si limita a filmare l'altro protagonista di spalle e attraverso il dettaglio della sola nuca. Quello che potrebbe essere una minuzia dell'organizzazione scenica nelle mani della Di Giacomo diventa - come spesso succede nel cinema d'autore - una vera e propria dichiarazione d'intenti che fa di padre Cataldo il centro motore del film, colui che è destinato a ristabilire la continuità narrativa altrimenti spezzata dall'imprevedibilità degli eventi e dei personaggi che entrano in scena durante le riprese; e nel contempo il solo e unico referente delle parole e dei comportamenti fuori dalla norma della pletora di individui (uomini, donne e bambini) senza nome e senza passato (e quindi, come si evince dai primi fotogrammi, senza volto) che si alternano all'interno della cornice filmica.
In realtà "Liberami" non ci nasconde niente di quanto accade durante i suoi riti di liberazione. Urla, maledizioni e strepiti di voci così come i primi piani delle facce deformate dalle conseguenze della sovrannaturale epilessia rientrano senza nessuna censura - nonostante si tratti di eventi reali - nel bagaglio visivo propostoci dal film. Però qui la questione è un'altra. Perché partendo dallo stesso tema e da un contesto ambientale e umano più o meno paragonabile "Liberami" opera una sorta di riscrittura iconografica di quanto abbiamo visto da "L'esorcista" in poi a cominciare dalla figura del protagonista, nella sua ordinarietà fisiognomica lontano anni luce dall'epica misteriosa e ascetica dei prototipi creati dal cinema americano; e ancora di più nella scelta di eliminare dalla fenomenologia del trascendente (o presunto tale) qualsiasi elemento di spettacolarizzazione al fine di collocare il sacro e il profano in un contesto di quotidianità pragmatica e laica. Una rivoluzione cinematografica e non solo che "Liberami" porta avanti bilanciando l'empatia suscitata dal carismatico e instancabile protagonista con uno sguardo concreto e possibilista in un senso e in un altro (ad un certo punto un sacerdote sottolinea come in taluni casi i disturbi manifestati dai soggetti possano nascondere una richiesta di attenzione da parte di quest'ultimi) rispetto alle origini luciferine del problema. Non è quindi un caso per esempio che a fronte dell'indubbia sagacia con cui padre Cataldo gestisce le situazione e impartisce gli scongiuri venga a mancare la certezza del successo dei suoi rimedi e quindi dell'emancipazione dal maligno che, in molti dei casi selezionati dal film continua a tenere in ostaggio i propri ospiti. Così come non sorprende che la parte più debole del film sia quella che si allontana dal suo spazio vitale rappresentato dalla parrocchia in cui lavora padre Cataldo per dare conto del privato dei suoi pazienti. In tal senso l'eccezionalità di "liberami" si allinea a illustri esempi del nostro documentario nella capacità - un tempo invalsa al neorealismo - di regalarci un'altro esempio di quell'eroismo tanto reale quanto misconosciuto di cui suo malgrado padre Cataldo è uno dei campioni più memorabili.
regia:
Federica Di Giacomo
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
89'
produzione:
Mir Cinematografica, Opera Film, Rai Cinema, France 3 Cinema
sceneggiatura:
Andrea Osvaldo Sanguigni,Federica Di Giacomo
fotografia:
Greta De Lazzaris, Carlo Sisalli
montaggio:
Aline Hervè, Edoardo Morabito