drammatico | Regno Unito/Spagna (2024)
Mike Leigh struttura "Scomode verità" circoscrivendo gli spazi in esso rappresentati tramite un'architettura composta da cerchi concentrici, a cui corrisponde una corrispettiva divisione dei personaggi. Al centro si pone la protagonista, l'irosa e problematica Pansy, che occupa degli spazi molto limitati, come il divano nel soggiorno e il giaciglio nella camera da letto, ambiti minimali in cui cerca disperatamente rifugio dal mondo esterno che avverte come insostenibile e con il quale intrattiene una perenne e continua lotta, micro luoghi in cui cerca di nascondersi (la si vede nel letto coperta dalla testa ai piedi dalla trapunta) o di distaccarsi dal lerciume che vede ovunque (il divano che pulisce in modo maniacale o che vorrebbe sostituire).
Il cerchio che attornia la protagonista, lo spazio di secondo livello, è costituito dal resto della casa e dalla sua famiglia, il marito e il figlio intenti a subire quotidianamente le urla di Pansy: i due vengono letteralmente atterriti da quest'ultima, ripresi dal regista nel mutismo di una sopportazione che li consuma e che impedisce loro di esprimere qualsiasi pensiero, nel terrore di alimentare con una risposta le sfuriate prive di senso della protagonista. La casa è mostrata dall'esterno all'inizio e alla fine del film, inquadrata da oltre il vialetto che la circonda e, per questo, circoscritta dalla macchina da presa come spazio a sé stante. L'ultimo cerchio è l'ambiente esterno l'abitazione: gli spazi della cittadina in cui vive la protagonista, quindi il supermercato, il parcheggio di quest'ultimo, il cimitero in cui si trova la tomba della madre, la casa della sorella e delle figlie di quest'ultima, controaltare netto da un punto di vista caratteriale della follia rabbiosa di Pansy.
Parallela all'architettura degli spazi e dei personaggi, si pone la gestione dei tempi operata da Leigh e consistente in una calibrata alternanza di momenti osservazionali ad altri in cui esplode la furia rabbiosa della protagonista.
I primi sono privi di azione e di dialoghi: sono minuti in cui non accade letteralmente nulla, come ad esempio l'incipit del film, composto da un lungo piano sequenza del vialetto della casa in cui non si verifica niente di significativo per la trama (vediamo un veicolo passare e il marito della protagonista uscire di casa per andare al lavoro).
I secondi, invece, si caratterizzano per l'assoluta prevalenza dei dialoghi (o più frequentemente monologhi) della protagonista nei frequenti momenti in cui permette alla sua frustrazione e alla sua rabbia di prendere il sopravvento: la vediamo mentre sbraita tutto il suo malessere verso chiunque, dai famigliari agli sconosciuti che incontra per caso.
Questi momenti si caratterizzano per l'importanza della sceneggiatura (la centralità delle lunghe battute) e dell'interpretazione degli attori. Magistrale, in particolare, è quella realizzata da Marianne Jean-Baptiste, eccelsa nella restituzione del malessere profondo e radicato della protagonista tramite una recitazione fondata sull'interiorizzazione e affidata alle espressioni facciali (il viso di Pansy è spesso contratto in una maschera di rabbia e disgusto, sia quando è a riposo sia quando vomita i suoi insulti), a posture corporali e al modo di tenere la testa (la protagonista è letteralmente incurvata sul proprio malessere, ingobbita e adunca, abitante un corpo distorto, come il viso, in un moto di repulsione profondo verso tutto ciò che la circonda).
La messa in scena concorre a differenziare le due tipologie dei tempi: le scene in cui Pansy sbraita sono dirette in modo da valorizzare la performance attoriale e i dialoghi, essendo infatti sequenze mediamente lunghe, con movimenti di macchina minimi e composte soprattutto da piani medi e primi piani; mentre quella dei momenti osservazionali è generalmente costituita da inquadrature capaci di restituire porzioni di spazio più ampie, come campi totali e lunghi.
La gestione dei tempi interna al film presenta varie finalità: in primo luogo, è evidente la sfida posta allo spettatore, la cui visione è volutamente resa difficoltosa da entrambe le tempistiche del lungometraggio. La calma dilatata in cui non accade nulla è alternata allo spettacolo insostenibile della protagonista che vomita insulti e odio verso tutti, rendendosi al contempo insopportabile e odiosa ma anche comica e patetica.
Quest'ultimo aspetto è dato dall'empatia verso la donna: lo spettatore si rende conto che Pensy è malata e dunque è meritevole di rispetto e affetto, ma il modo in cui distrugge la vita della sua famiglia porta alla nascita di un mix di repulsione e vicinanza. Sono emozioni rese ancora più intricate dall'innegabile presenza del comico: le sfuriate della donna assumono una connotazione trash (l'esagerazione delle urla e degli epiteti che Pensy scaglia contro tutti producono una risata a denti stretti) e grottesche (perché uniscono una componente umoristica a una orrorifica).
In secondo luogo, la gestione dei tempi è finalizzata a evitare una progressione narrativa lineare e semplicistica, destinata a suscitare la pietà dello spettatore e culminante in una catarsi zuccherosa e scontata. Al contrario, Leigh filma una trama circolare e non teleologica, cioè priva di uno sviluppo narrativo vero e proprio e caratterizzata non dal racconto ma dalla descrizione, quasi documentaristica, del presente della vicenda familiare della protagonista.
Dall'inizio alla fine del film non cambia nulla: le dinamiche domestiche ci vengono presentate (anzi, sottoposte) tramite una serie di frammenti narrativi che vengono accostati in un continuo presente (dunque senza storia) gli uni agli altri per mostrare la tragedia quotidiana di un gruppo di persone (e non per raccontarne la parabola esistenziale). Leigh sottolinea questi aspetti tramite vari espedienti: evidenzia la circolarità collegando l'inizio e della fine del film con la stessa scena (l'inquadratura in esterno della casa familiare), oltre che tramite la scelta di una messa in scena non invasiva, composta da una fotografia naturalistica, dalla preferenza verso sequenze lunghe e dalla fissità della macchina da presa.
cast:
Marianne Jean-Baptiste, Michele Austin, David Webber, Tuwaine Barrett
regia:
Mike Leigh
titolo originale:
Hard Truths
distribuzione:
Lucky Red
durata:
97'
produzione:
Film4, Thin Man Films, The Mediapro Studio, Creativity Media
sceneggiatura:
Mike Leigh
fotografia:
Dick Pope
scenografie:
Suzie Davies
montaggio:
Tania Reddin
costumi:
Jacqueline Durran
musiche:
Gary Yershon