drammatico, surreale | Giappone (2024)
"Hey you disappear further and further
Into these incalculable rooms
And your personality fades away
Your features evaporate, your body decomposes
And your last thought is that you have become a noise
A thin, nameless noise among all the others
Howling in the empty dark room"
Letterario fin dalla fonte romanzesca (di Tsutsui Yasutaka, scrittore del romanzo da cui è stato tratto "Paprika") e dal titolo internazionale, che ibrida liberamente il giapponese (e prima ancora cinese) "敵/teki", "nemico", e l'inglese arcaicheggiante della terza persona singolare "cometh", "Teki Cometh" segue non a caso le vicende di un professore universitario di letteratura francese in pensione, ancora in salute e pieno di impegni, per quanto questi abbiano principalmente a che fare con la sua attività passata, come la partecipazione a conferenze o la scrittura di articoli sulla cultura francese. Tale letterarietà viene rapidamente contrastata dalla quotidianità del contenuto della pellicola, dal momento che la routine del protagonista, dalla cura scrupolosa che mette nella realizzazione dei pasti ai suoi problemi intestinali, riempie le sequenze del film quasi quanto il pensionato interpretato da Nagatsuka Kyozo occupa lo spazio centrale di pressocché ogni inquadratura. Eppure il film dell'habitué del Far East Film Festival Yoshida Daihachi è anche un'opera semplice come il suo titolo di un ideogramma (e due sillabe), una meditazione sul passare del tempo e l'approssimarsi della morte, come rimarca quasi ossessivamente il protagonista.
Fotografato con un elegante, e prevedibile, bianco e nero, "Teki Cometh" si sviluppa attorno alla compassata quotidianità del professor Watanabe per poi disgregarla progressivamente, risignificando così i grigi della fotografia, da rappresentazione di una realtà monotona e priva di elementi diversificanti (ma non di contrasti) a resa visiva dell'impossibilità di discernere sogno e realtà, fatti e fantasie. La costanza della fotografia, in un film che invece cambia costantemente sottogenere, grammatica registica e tono, si fa quindi immagine del modo in cui il protagonista vede e vive il suo mondo, non importa quanto stimolanti siano gli incontri (o re-incontri) che fa e non importa quali sconvolgimenti turbino la sua routine. Ciò fa il paio con il progressivo movimento introspettivo della pellicola, che passa dai frequenti incontri e riprese in esterni (o comunque fuori dalla casa del protagonista) della prima sezione del film, non a caso denominata "estate", all'ossessiva esplorazione degli ambienti della dimora del professore, che ora paiono molto più angusti (grazie anche all'assistenza di focali molto corte), e popolati semmai di fantasmi, dell'"inverno".
Un altro dei tratti caratteristici di "Teki Cometh" è il suo continuo riferimento a immaginari e convenzioni stilistiche del cinema di genere, nonostante formalmente si avvicini chiaramente al cinema d'autore più rigoroso, perseguito fin dalla scelta del contrastato bianco e nero e dalla centralità del dialogo all'interno della logica del film. Presto però gli opprimenti campi medi e le succitate scelte della fotografia finiscono per avvicinare il film di Yoshida al cinema horror, coerente anche con la sua natura di ghost story (ma anche, e forse meglio, di host story), evidenziata dai numerosi incontri, più o meno surreali, a tratti inquietanti, che il professor Watanabe ha con varie persone rilevanti della sua vita, che prevedibilmente aumentano col procedere della trama, e delle stagioni. Non sono queste le uniche contaminazioni di genere della letteraria nona regia di Yoshida Daihachi, che incorpora col procedere della trama anche elementi da film post-apocalittico, ad esempio l'isolamento del protagonista e la vuotezza degli spazi, quasi sempre totalmente a fuoco, e da pellicola spionistica, come l'incapacità di poter riconoscere chi sia effettivamente il nemico e la presenza di apparenti comunicazioni cifrate, ma anche del cinema sentimentale, di cui mette in scena desideri impossibili da incarnare e passati che forse è meglio che rimangano inespressi.
Tutti questi generi, con le loro enormi differenze rappresentative e tematiche, possono comunque essere ricondotti alla sfera dell'eerie, l'inquietante, la quale viene efficacemente rappresentata in "Teki Cometh" dalla duplice messa in scena sia del "fallimento di presenza" sia del "fallimento di assenza" che Mark Fisher ha identificato come costitutivi del filone[1]. Alle frequenti sparizioni delle persone con cui l'anziano professore interagisce (come la sfortunata studentessa appassionata di letteratura francese che scompare nel nulla dopo la fine della sezione "autunno") si accompagnano infatti "fallimenti d'assenza" come quello della moglie, deceduta molti anni prima e che però comincia a divenire una presenza sempre più ricorrente fra i corridoi labirintici della pur piccola casa Watanabe (o forse questa è solo la sensazione dell'ormai paranoico docente). Anche la dialettica fra sogno e realtà, e soprattutto della loro indiscernibilità, forse fin troppo insistita nel film di Yoshida, può essere interpretata in quest'ottica, mostrando situazioni palesemente oniriche che si manifestano però con una marcata concretezza, così come momenti apparentemente quotidiani che paiono dissolversi come una bolla di sapone, nei risvegli repentini del protagonista.
Questa indiscernibilità viene sottolineata dal finale, che, dopo l'esplosiva tensione della sequenza pre-finale, in cui l'elemento post-apocalittico, quasi da zombie movie, del film viene messo in primo piano, torna alla rappresentazione pedissequa della realtà della prima parte del film. O almeno fino a che, letteralmente nelle ultime due inquadrature, questa "conoscenza [non] è raggiunta e [così] l'eerie [non] scompare"[2], ma anzi riemerge prepotentemente per annullare il protagonista della sequenza conclusiva, e poi per annullare il film stesso, ora che il professor Watanabe ha trovato la sua fine. Circondato da fantasmi, o ospiti che si comportano come fantasmi, per la maggior parte dei suoi ultimi mesi l'anziano docente di letteratura francese finisce per diventare, forse volutamente, forse a propria insaputa, uno di loro, come il protagonista di un romanzo di Shirley Jackson, fantasma fra i fantasmi. Costantemente in equilibrio precario fra letteralità (oltre che letterarietà) e ambiguità, così come fra film d'autore e cinema di genere, "Teki Cometh" mette in scena, come altri film in questa introspettiva edizione del Far East Film Festival, i fantasmi del passato e la loro influenza, non importa se immaginaria o reale, sul presente, e oltre questo, fino a che l'oblio annichilente, l'unico vero nemico a cui non si può mai fuggire, arriverà a far sentire la sua totalizzante (non)presenza.
[1] M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l'inquietante nel mondo contemporaneo, Roma, mininum fax, 2018 (2016), p. 55
[2] Ivi, p. 56
cast:
Kyozo Nagatsuka, Asuka Kurosawa, Kumi Takeuchi
regia:
Daihachi Yoshida
titolo originale:
Teki
durata:
108'
produzione:
Ozawa Yuji, Emori Toru
sceneggiatura:
Yoshida Daihachi
fotografia:
Shinomiya Hidetoshi
montaggio:
Sone Shuiichi
musiche:
Chiba Hiroki