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CANNES 72 - Ha preso il via, con la proiezione del nuovo film di Jim Jarmush "I morti non muoiono", l'edizione 2019 del Festival di Cannes. Particolarmente ricca di nomi di prestigio, proviamo a vedere cosa promette sulla carta la selezione del Concorso. In un prossimo aggiornamento ci concentreremo sul resto dei film in programma

Santi, beati e canonizzati. La selezione ufficiale del Festival di Cannes, in special modo il Concorso, beatifica alcuni, canonizza altri e celebra chi è già santo. Possiamo criticare quanto vogliamo il conservatorismo di Cannes, ma da un lato è in una certa misura inevitabile, dall’altro siamo noi stessi a promuoverlo, visto che alla fine sono i pezzi da novanta a polarizzare l’attenzione della critica. È di Tarantino, Kechiche, Dolan, Malick e compagnia, che ci troveremo a parlare di più nei prossimi giorni. Eppure, Cannes non è – per fortuna – solo il suo Concorso, e nelle altre Sezioni (peraltro ricche anch’esse di nomi blasonati) occorre cercare le novità, scovare il nome che, magari, al prossimo film potrebbe vedere la canonizzazione del Concorso. D’altra parte, anche il Concorso a guardar bene è frutto di un prudente dosaggio di tradizione (i santi e i canonizzati) e novità (i beatificati). Consapevoli che, piaccia o meno, Cannes si arroga il potere di far da bussola al “mainstream d’autore” mondiale, proviamo a fare un po’ di ordine in quello che offre l’edizione 2019, senza cedere alla tentazione di concentrarci sui film più attesi. Iniziamo dal Concorso, riservandoci di esplorare, in seguito, quanto offrono le altre sezioni.

 

I santi

Dopo la cerimonia di apertura, è stato proiettato ieri il nuovo film di Jim Jarmusch, che uscirà nelle nostre sale tra meno di un mese. “I morti non muoiono” si è rivelata una scelta ideale per aprire il Festival: mix calibrato di autorialità e cinema popolare, con tante celebrità a sfilare sul tappeto rosso. Ricchissimo il cast, da  Adam Driver a Bill Murray, Chloë Sevigny, Tilda Swinton, Selena Gomez, Iggy Pop e Tom Waits. Il film com’è? Per Jarmusch è consuetudine navigare fra i generi per rivoltarli dall’interno; con l’horror si era già cimentato pochi anni fa nel notevole “Solo gli amanti sopravvivono” e forse sta proprio nella profonda diversità fra le due pellicole - tanto atmosferica e malinconica quella del 2013 quanto leggera, ammiccante e ironica questa, di fatto una commedia - che il film ha spiazzato, deludendo chi cercava più ricercatezza o si aspettava un nuovo “Shaun of the Dead” se non un redivivo George A. Romero. Ma Jarmusch è se stesso e al contempo per fortuna muta forma ad ogni film. Magari non sempre convincendo tutti, ma non gli si può negare il coraggio di osare.

L’edizione del Concorso di Cannes che si è aperta ieri è sulla carta una delle più interessanti degli ultimi anni. Vanta ben 7 Palme d’Oro in gara. Il più atteso, nonché l’ultimo ad essere annunciato, con una mossa forse pensata ad hoc per conferirgli lustro ulteriore, è Tarantino, che presenterà “Once Upon a Time…in Hollywood” nel 25° anniversario della Palma d’Oro a “Pulp Fiction”. Kechiche, che nel 2013 vinse la Palma d’Oro con “La vita di Adele”, presenterà un montaggio - forse ancora provvisorio, come accadde due anni fa a Venezia - del secondo atto di “Mektoub, My Love”: si chiama “Mektoub, My Love: Intermezzo” e ha la ragguardevole durata di 4 ore. Di Malick attendiamo il ritorno a una narrazione lineare con “A Hidden Life”, dopo gli ultimi film, che erano quasi outtakes dell’Albero della Vita, vincitore nel 2011. Quest’anno ci sono, per l’ennesima volta, i fratelli Dardenne, già due volte d’Oro (“Rosetta” e “L’enfant”). Con “Le jeune Ahmed”, diranno la loro su terrorismo e fondamentalismo in Europa. Ken Loach, giunto alla rispettabile età di 83 anni, vincitore col suo precedente film della sua seconda Palma d’Oro, stavolta racconterà la vita durissima di una nuova categoria professionale: i corrieri che consegnano a domicilio gli ordini online (“Sorry We Missed You”).

La selezione del Concorso è insolitamente ricca di mostri sacri, fedelissimi della Croisette. Ai menzionati ne aggiungiamo altri 4. Almodovar, che sarà nelle nostre sale da venerdì con “Dolor y gloria”; Bellocchio (“Il traditore” con Favino nel ruolo di Tommaso Buscetta, in sala la prossima settimana); Elia Suleiman (“It Must Be Heaven”). Suleiman, forse meno popolare degli altri, è un raffinato cineasta israelo-palestinese che ricorda Buster Keaton. Il suo ultimo lungometraggio risale a dieci anni fa, è il notevole “Il tempo che ci rimane”. Con una carriera quasi trentennale alle spalle, il francese Desplechin è quasi una presenza fissa alla Croisette (a “I fantasmi di Ismael” 2 anni fa fu concesso l’onore di aprire il Festival). Celebratissimo oltralpe, ormai regolarmente distribuito in Italia, presenterà “Roubaix, Une Lumière”, con Léa Seydoux, che dalla sinossi pare un polar. Ma Desplechin è solito lavorare sulle false piste.

Una categoria prossima a quella dei mostri sacri è quella degli autori più giovani che nel Concorso di Cannes ormai sono di casa. Xavier Dolan in testa. Il suo “Matthias et Maxime” approda direttamente a Cannes senza che sia stato ancora distribuito in molti Paesi (fra cui l’Italia) “The Death and Life of John F. Donovan”, presentato nel 2018 a Toronto, che ha lasciato interdetti in tanti. Il coreano Bong Joon Ho, con “Parasite”, torna a Cannes a 2 anni dal tiepido riscontro ottenuto dalla sua escursione in casa Netflix (“Okja”). Infine, il brasiliano Mendonça Filho, che con “Bacurau” è appena al suo terzo film, ma già nel 2016 era stato in Concorso con “Aquarius”.

I canonizzati e i beatificati

Gli esordienti in Concorso sono 8, appena più di un terzo. Fra di essi bisogna distinguere i “canonizzati”, ossia gli autori che a Cannes erano già passati ma senza avere ancora avuto l'onore del Concorso. Sono 5, quasi tutti di prestigio, fra cui anche un Orso d’Oro. L’austriaca Hausner, il rumeno Porumboiu, il cinese Diao Yinan e le francesi Sciamma e Triet. In quanti ricorderanno Jessica Hausner per lo straordinario “Lourdes”, presentato a Venezia 10 anni fa, sinora unico suo film distribuito in Italia? L’austriaca, che fa un cinema rarefatto e sospeso, già autrice di un horror metafisico (“Hotel”) e di un film ispirato al poeta Von Kliest passato a Cannes 5 anni fa (“Amour Fou”), porta alla Croisette “Little Joe”, film di fantascienza distopica che a leggere la sinossi fa venire in mente “L’invasione degli ultracorpi”. Corneliu Porumboiu (“Poliţist, Adjectiv”, 2009) si cimenta in “La Gomera” con alcuni topos del Nuovo Cinema rumeno come la corruzione e i meandri della burocrazia. L’estremo oriente, quest’anno, è rappresentato in Concorso da un solo altro film oltre a quello di Bong: il ritorno alla regia del cinese Diao Yinan (“The Wild Goose Lake”); Yinan, dopo essere passato a Cannes nel 2007, vinse l’Orso d’Oro a Berlino nel 2014 con "Fuochi d’artificio in pieno giorno”. Céline Sciamma, la regista di “Tomboy” e “Diamante Nero”, è ormai più che un astro nascente: “Portrait de la jeune fille en feu” è il suo quarto lungo, un film in costume che è fra i più attesi della rassegna. Justine Triet, viceversa, è un nome che dirà poco in Italia, anche se è al sesto film tra documentari e dramedy (da noi è stato distribuito “Tutti gli uomini di Victoria”, quasi inosservato): a Cannes presenta “Sibyl” che vanta nel cast Gaspard Ulliel e Adèle Exarchopoulos, l’indimenticabile protagonista di “La vita di Adele”.

Direttamente in Concorso senza fare anticamera l’americano Ira Sachs e il resto della cospicua pattuglia francese (composta in totale da ben 6 film). Il regista de “I toni dell’amore”, dopo tanti Sundance, approda a Cannes con “Frankie”, interpretato da Isabelle Huppert. “Les Misérables” del trentanovenne Ladj Ly con Hugo pare c’entri poco: è ambientato nella banlieue parigina e ispirato alle sommosse del 2005. Non è l’unico esordio in Concorso: è un esordio, nel lungo, anche “Atlantique” della trentasettenne attrice e regista franco-senegalese Mati Diop, figlia d’arte (nipote del regista senegalese Djibril Diop Mambéty, considerato uno dei cineasti africani più originali; figlia del musicista di fama internazionale Wasis Diop). Si svolge a Dakar, e, per quanto in ottica francese, rappresenta l’Africa in Concorso. Questa è Cannes. Ci sapremo accontentare?





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