drammatico | Hong Kong (2024)
È tornata quest’anno al Far East Film Festival la regista e sceneggiatrice Oliver Chan, la cui opera prima, la dramedy sul rapporto, prima solo lavorativo e poi anche umano, fra un anziano hongkonghese e un’assistente domestica filippina "Still Human", vinse nel 2019 il primo posto all’Audience Award della kermesse (ma non il Gelso bianco per il miglior esordio, a sorpresa). Chan ha partecipato all’edizione numero 27 del festival friulano con una pellicola che risulta peraltro perfettamente coerente con i temi al centro del concorso, come la ricerca della propria identità personale in contesti più o meno oppressivi e le difficoltà di essere donna anche all’interno delle cosiddette società avanzate. Eppure "Montages of a Modern Motherhood" non ha replicato il successo del primo film della regista, in linea con l’accoglienza più fredda della pellicola in patria e il minor numero di film vinti ad altri festival in Asia orientale.
Uno degli elementi che può aver contribuito al risultato meno trionfale della pellicola, perlomeno nel contesto del FEFF, è la scarsa presenza della componente da commedia nel film, che inizialmente fa ancora capolino in quelle che paiono gag estemporanee, quasi inopportune nel contesto più serioso della pellicola, come le volte in cui il marito della protagonista Jing dimostra di non avere alba di come occuparsi della figlioletta appena nata o quando uno dei suoi rari interventi viene ricompensato con uno schizzo di diarrea. Presto però questi momenti, così come le schermaglie con la suocera di Jing, la cui natura iperbolica può inizialmente strappare qualche sorriso, iniziano a parere opprimenti incidenti che riempiono la quotidianità della protagonista, coerentemente con la sua progressiva discesa nella depressione post-parto, venendo privata una sequenza alla volta di ogni possibile appiglio per risollevarsi da questa situazione (il lavoro, il supporto della famiglia, una tata disponibile per la neonata, etc.). La rappresentazione dell’attività di cura, un lavoro in "Still Human", una percepita necessità, se non della natura, di certo della società in "Montages", smette di essere un motore di situazione comiche così come di momenti di riflessione, come avveniva nell’opera prima di Chan, e si trasforma semplicemente nel nucleo verso cui tutte le azioni e le sensazione di Jing tendono, un buco nero che progressivamente fagocita tutto quel che resta della sua (un tempo) ricca vita.
Donna attiva e con un lavoro che ama profondamente (la panettiera), Jing assiste sulla propria pelle alla riduzione della donna, prima e soprattutto dopo il parto, alla sola dimensione della maternità, una tematica che, pur in maniera molto diversa, ha fatto capolino anche in altri film presentati nell’ultima edizione del Far East Film Festival, come il thriller "Welcome to the Village" di Jojo Hideo o il coming of age sportivo "Sunshine" di Antoinette Jadaone. Laddove le protagoniste delle opere citate riuscivano però, almeno a un certo punto della pellicola, a ristabilire la propria agency, tra l’altro per vie molteplici, riaffermando o negando la propria identità come madri, la giovane donna interpretata ottimamente da Hedwig Tam viene costretta nel proprio ruolo di fattrice e nutrice dalla società ancora fortemente maschilista di Hong Kong. La modernità della città, con il suo skyline ricco di grattacieli e le molteplici infrastrutture e servizi che ne riempiono ogni angolo, assume a questo punto un significato preciso, ancora più se contrastata con l’isolato villaggio rurale del film di Jojo o ai sobborghi popolari di Manila di quello di Jadaone, evidenziando quanto il progresso tecnologico e l’arricchimento della società non garantiscano una posizione di eguaglianza alle donne, soprattutto nei momenti in cui sono più vulnerabili.
La gabbia in cui Jing progressivamente precipita all’interno di una pellicola forse troppo angosciosa e sconsolata per sperare di vincere un premio del pubblico alla kermesse udinese viene resa con efficacia, seppur in maniera un po’ didascalica, dai molteplici primi piani che intrappolano la donna in un’opprimente spazio in cui vi è solo lei, con la sola compagnia dei pianti della neonata che minacciosamente riempiono sempre più spesso la banda sonora. Le carrellate che seguono di sovente la protagonista, nel minuscolo appartamento (siamo a Hong Kong, d’altronde) in cui vive col marito e la figlia (e nello stesso stabile dei genitori di lui), così come per le vie dell’ex-città stato, finiscono per rafforzare tematicamente la scelta delle inquadrature strette, facendosi quasi una rappresentazione delle aspettative della società che perseguitano la donna, degli occhi che Jing sente sempre più spesso addosso. Non è un caso che l’unico significativo cambio di stile si verifichi appena prima del finale della pellicola, quando l’ex-panettiera, rimasta sveglia tutta la notte per far addormentare la bambina, vaga lungo la riva del fiume e si perde nelle fantasie del futuro, sicuramente migliore, della figlia, rappresentate con una palette di colori molto più calda e con sognanti movimenti di macchina, all’interno di una fugace montage sequence.
Sul punto di fuggire dal proprio ruolo, in un modo o nell’altro, Jing si proietta prima in avanti e poi indietro, a un momento di gioia precedente la nascita dell’infante, non trovando una via di fuga in nessuna delle due direzioni (e questa pare essere l’unica certezza dell’ambiguo finale). A differenza delle parabole di riscatto e liberazione femminile che hanno conseguito il primo e il terzo posto nel podio dell’Audience Award del FEFF, le cinesi "Her Story" di Shao Yihui e "Like a Rolling Stone" di Yin Lichuan, l’immersione nei lati più cupi e meno uplifting della maternità "Montages of a Modern Motherhood" mostra i limiti della modernizzazione nella liberazione delle donne dai ruoli tradizionalmente assegnati loro, concedendo ben poche risate al proprio pubblico, ma anche poche lacrime, considerando la regia distaccata e autoriale di Oliver Chan. Alla fine il nuovo film della regista di "Still Human" pare riflettere sulla storia delle difficoltà di una neo-mamma il peso dei trascorsi di Hong Kong, città eccezionale che ora non lo è più (come il suo cinema, verrebbe da aggiungere), il cui declino pare ineluttabile, costringendo quasi sempre le narrazioni che si sviluppano al suo interno a movimenti introspettivi che spesso non portano da nessuna parte, se non a fronteggiare i lati più oscuri di sé.
cast:
Hedwig Tam, Lo Chun-yip, Pang Hang-ying, Fung So-bor, Patra Au Ga-man
regia:
Oliver Chan
titolo originale:
Fu Duk Bat
durata:
111'
produzione:
No Ceiling Film
sceneggiatura:
Oliver Chan
fotografia:
Sou Wai-kin
scenografie:
Albert Poon Yik-sum
montaggio:
Emily Leung Man-shan
musiche:
Olivier Cong