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Il serial di Hbo che ha riportato l’emittente via cavo americana al centro del mondo delle serie, raccontando le vicissitudini di una famiglia americana al comando di un impero mediatico

In realtà l'idea dietro "Succession" è molto semplice. La serie non ha una trama granché articolata, specie se si pensa a come inizia e a come va a finire. Tralasciando dunque tutte le verbose vicissitudini in mezzo, che spaziano tra tradimenti, ripicche, ricatti, capovolgimenti di fronte, cannibalizzazioni societarie, acquisizioni, scandali, insabbiamenti e chi più ne ha più ne metta. Logan Roy (Brian Cox), burbero, spietato e geniale moloch a capo del maggiore impero mediatico statunitense, la Waystar Royco, è sul punto di ritirarsi e decidere quindi quale dei suoi figli sia il più adeguato a dirigere l'enorme impresa di famiglia - una gigantesca conglomerata che parte dal settore delle informazioni e si estende fino a quelli delle crociere e dei parchi divertimento a tema. Forse non c'è troppo tempo per decidere, perché l'età avanza e i malanni si fanno sempre più perniciosi. Forse però il vecchio non crede in nessuno dei tre: il rampante Kendall (Jeremy Strong) che vorrebbe svecchiare il brand, il nevrotico e un po' perverso Roman (Kieran Culkin) e la zelante Shiv (Sarah Snook), che quando la conosciamo sembra più interessata alla carriera di ghostwriter per un politico che all'azienda di famiglia. Per non parlare del quarto e più in là con gli anni, Connor (Alan Ruck), che Logan evita il più possibile e reputa un completo idiota. Eppure è proprio partendo da questi semplici presupposti che, nel giro di quattro stagioni e quaranta episodi, il creatore e showrunner Jesse Armstrong, insieme ai produttori, i ben più noti Adam McKay e Will Ferrel, ha costruito una delle serie più seguite, riuscite e importanti degli ultimi dieci anni. Forse la più importante in assoluto.

Come ci sia riuscito è un filo più complicato. Pur semplice a raccontarsi, "Succession" è un prodotto televisivo stratificato come pochi. Un'opera monumentale che si snoda su molteplici livelli di lettura e che non soltanto utilizza un linguaggio innovativo, ma piega alle sue necessità svariati toni e registri, che vanno dal dramma shakespeariano alla commedia più caustica e nera possibile. Nondimeno, "Succession" può contare su uno dei cast corali più affiatati e brillanti che si siano mai visti sul piccolo schermo, chiamato a recitare una sceneggiatura che è pura dinamite.
Chi conosce e apprezza McKay, celebre per la maniera moderna ed efficace con la quale ha portato al cinema il mondo della finanza ("The Big Short", 2015) e il lato oscuro della politica americana ("Vice", 2018), può certamente immaginare la cura certosina e l'ironia con la quale la serie porta sullo schermo una labirintica e nequitosa conglomerate. Se i meccanismi perversi con i quali la "Waystar Royco" acquista per poi annientare imprese emergenti, licenzia in tronco grandi numeri di dipendenti e tromba dirigenti fedeli da anni sono crudeli, ad essere ancora più feroci sono però quelli attraverso i quali interagiscono tra loro i membri della famiglia Roy. Parallelamente al dramma aziendale si consuma infatti quello familiare, dominato dalla figura tirannica di Logan. Un leviatano influente sull'economia e sulla società americane, che manipola mediante i suoi mezzi di informazione e la presenza sul mercato azionario, tanto quanto sui suoi affetti, che gestisce come pedine di un gioco al massacro.
Il Logan Roy di Brian Cox è una sorta di Re Lear sboccato e crudele, che gioca con i suoi figli come fossero pupazzi: li rigira come banderuole, illude, mette uno contro l'altro, disorienta e puntualmente delude.

Il ritorno alla Golden Age di Hbo e della serie tv come grande romanzo americano

Quando nel 2018 Hbo ha lanciato "Succession", l'emittente via cavo americana era lungi dall'essere considerata la casa delle meraviglie che solo un decennio prima o poco più aveva letteralmente cambiato la storia delle serie tv, nonché la percezione di questo formato da parte del pubblico. È infatti quando tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Zero l'emittente lanciò le varie "Band Of Brothers", "Six Feet Under", ma soprattutto "I Soprano" e ovviamente "The Wire", che si iniziò a pensare, e a ragione, che le produzioni televisive potessero eguagliare, se non in alcuni casi addirittura superare, la qualità di quelle cinematografiche.
Pur non avendo mai smesso di produrre grandi serie, Hbo vide le cose complicarsi quando nel decennio successivo entrarono in gioco nuovi competitor, decisamente più responsivi a quella che era diventata la domanda del pubblico durante la rivoluzione streaming. Tanto che nel 2019, con conclusione de "Il trono di spade", peraltro con delle ultime stagioni piuttosto appannate rispetto alle folgoranti prime, si iniziò a parlare di una vera e propria crisi dell'emittente. Senza peraltro cambiare i metodi rigorosi con i quali il canale ha sempre ideato, progettato e prodotto le sue serie, "Succession" ha riacceso le luci della ribalta su Hbo, che data la risposta del pubblico, della critica e degli Emmy, sembra essere ritornata ai suoi fasti.

Al solito le serie Hbo danno il loro meglio quando raccontano l'America, spesso meglio di tantissimi film. L'emittente sembra infatti utilizzare la minuziosa costruzione di un contesto e un racconto approfondito, che soltanto il corposo minutaggio di una serie può garantire, per imbastire quello che potremmo considerare l'equivalente contemporaneo del cosiddetto grande romanzo americano.
"I Soprano" ci ha raccontato la seconda generazione dei migranti italiani che, sfuggiti alla legalità, hanno dato vita a un'America parallela, quelle delle cosche mafiose che gestiscono gli appalti di intere cittadine dai retrobottega dei negozi di salsicce e delle caffetterie del New Jersey; qualche anno dopo "Boardwalk Empire", con un piglio decisamente più storicista, ha inscenato invece la nascita e l'ascesa di una mecca del gioco d'azzardo come Atlantic City.
Impossibile non citare a tal proposito anche "The Wire", forse la più grande serie mai prodotta da Hbo, che con il suo taglio realista e asciutto ci ha portati nelle strade disperate di Baltimora. Dapprima infiltrando la sua lente nel corpo di polizia e tra le gang dei peggiori quartieri della città e poi allargando il suo sguardo, di stagione in stagione, verso il porto, il sistema di istruzione, la stampa e infine la politica della città.

"Succession" ha uno sguardo meno ampio rispetto a quello di "The Wire", ma ugualmente penetrante e realista. Sin dai primissimi minuti della prima puntata della sua creatura, Armstrong ci lascia entrare nei piani alti della società americana, invero ancora più alti di quelli popolati da senatori e presidenti. Quelli popolati da chi, in effetti, presidenti e senatori li fa, li sceglie.
Attici di vetro in cima ai più alti grattacieli newyorkesi, jet privati, elicotteri e, ancora, yacht lunghi decine e decine di metri, tenute in Irlanda, Toscana, atolli e isole greche sono i luoghi e i mezzi di trasporto occupati con naturalezza dalla famiglia Roy e dalla sua ampia corte di finanzieri, banchieri, esperti di comunicazione e assistenti di ogni sorta. Le stanze, gli spazi e gli abitacoli dove Logan, Shiv, Roman, Kendall, Frank (Peter Friedman), Karl (David Rasche), Gerry (Jean Isabel Smith), condendo la propria fluviale terminologia finanziaria con fuck e altri improperi, alla stregua di rapper che intrecciano strofe in un featuring infuocato, decidono il destino di dipendenti, azionisti e, grazie all'influenza mostruosa che esercitano mediante l'emittente di famiglia Atn, dell'America tutta.
Il distacco della famiglia Roy e dei suoi luogotenenti dalla realtà, che osservano con noncuranza come da un trespolo in cima alla piramide sociale, è netto, agghiacciante. Quanto la ricchezza e il potere abbiano reso la famiglia distante da una gestione delle persone e dei sentimenti che sia etica e naturale viene rovesciato addosso agli spettatori nel brutale pilot (diretto proprio da Adam McKay). Venuto a mancare un giocatore, Roman invita un ragazzino a prender parte a una partita di baseball tra parenti e gli promette davanti ai genitori, gli inservienti della tenuta dove si sta disputando il match, un milione di dollari in caso riesca a realizzare un home run. Davanti agli occhi sbigottiti di alcuni astanti, e va da sé degli spettatori, il più giovane dei Roy firma addirittura un assegno, che strapperà quando il piccolo immigrato latino-americano fallirà l'impresa che avrebbe potuto cambiare la vita della sua famiglia.

È questa l'America raccontata da "Succession": una società dominata da predatori in cui i sentimenti e il welfare sono un increscioso inconveniente. Rivoluzione digitale, exploit delle destre populiste, corruzione e sessismo ai tempi del me too sono soltanto la punta dell'iceberg messo insieme dai quaranta episodi della serie.
Per immortalare un'epoca, però, come ci insegnano tanto Manzoni e Hugo quanto Steinbeck e Faulkner, un grande romanzo storico non può prescindere da un nugolo di grandi personaggi e da una narrazione imperiosa. E sono proprio questi ulteriori elementi a rendere completo il trionfo di "Succession".
Nonostante spesso non sia semplicissimo seguire i dialoghi ricchi di tecnicismi e riferiti a meccanismi economici e politici complessi, l'intessitura narrativa della serie è seducente, avvincente, emozionante. La tensione messa in essere da intrighi, scandali e confronti a muso duro è così forte che, nonostante la distanza morale (vera o presunta) e di status sociale tra personaggi e spettatori, per questi ultimi sarà inevitabile tifare per uno dei primi. Parteggiare per lui o lei e sentirsi sollevato o amareggiato una volta che saranno chiari gli esiti delle sue azioni. Se da una parte è naturale sentirsi lontani dalla spregiudicatezza dei personaggi di "Succession", dal loro modo privo di scrupoli nel gestire affetti e dipendenti, dall'altro c'è da fare i conti con l'immedesimazione che si prova verso figure detestabili dopo che l'ennesimo tradimento reciproco ce le fa scoprire vulnerabili e umane.
Il coinvolgimento garantito dalla serie è totale e in un certo qual modo subdolo, la qualità di scrittura sopraffina e i suoi personaggi efficaci e indimenticabili.

It's not gonna be me: Shakespeare ai tempi delle conglomerate

"Succession" è chiara riguardo all'oggetto principale del suo racconto sin dal titolo. La contesa al centro della serie non è semplicemente un'eredità, bensì il trasferimento del potere, mediante il principale ruolo di comando nell'azienda di famiglia (Ceo), da Logan Roy a uno dei suoi figli. Tutti loro sanno che non si tratta soltanto di soldi, così come sanno che un decentramento o una diluizione del controllo della Waystar Royco in più posizioni non garantirebbe a chi le occupa la stessa influenza del padre. Quella a cui Shiv, Roman e Kendall anelano è dunque un'investitura, per una vera e propria successione al trono.
Nel corso dei momenti più confessionali della serie, in cui i tre personaggi svelano tutta la loro fragilità, l'approvazione professionale del padre, unico viatico per la successione, apparirà come un vero e proprio sostituto dell'amore da parte della figura tirannica. Ci sono abbracci, week-end intimi in questa o quell'altra tenuta di campagna, ma l'amore non è mai il centro del dibattere dei Roy. Anche Caroline, seconda moglie di Logan e madre dei tre, è distante dai suoi figli, nel suo caso anche geograficamente, dacché preferisce vivere nel natìo Regno Unito e stare alla larga dal velenoso business.
In un contesto familiare disfunzionale e tossico come questo, dove i sentimenti vengono difatti gestiti come transazioni, dimostrare di poter prendere le redini della Waystar Royco diventa l'unico mezzo per ingraziarsi il padre, per sentirlo vicino.

In uno dei momenti più drammatici dedicati a Kendall, forse la figura più instabile della serie, continuamente in bilico tra alti e bassi apicali, brillantezza e disastro, narcisismo e autodistruzione, rivolgendosi alla sorella questi pronuncia una delle frasi più significative della contesa: "It's not gonna be me", "Non sarò io". "Non sarei mai stato io", aggiungerà un altro dei fratelli in un'altra occasione. Il reiterarsi di queste affermazioni rimarca l'ossessione del trio per la successione e la sua impossibilità di fare davvero breccia nel cuore e nelle grazie professionali del padre.
Tagliato fuori da sempre dalle dinamiche della successione alla guida del capitale, il "figlio scemo" Connor, nato da una donna con problemi psicologici prima che Logan incontrasse Caroline, è l'unico immune alle tossine del patriarca. Lo metterà bene in chiaro in una delle sue linee più ficcanti dell'ultima stagione, "Connor doesn't need love", sottolineando una volta per tutte la confusione tra amore e potere in famiglia. L'amore, o meglio la sua promessa, è infatti per il vegliardo scozzese uno strumento per spremere i suoi figli, che di fatto vede e utilizza come degli asset di cui disporre a sua discrezione e piacimento.

Kendall sarà il suo preferito quando ci sarà da rimodernare il roster di aziende controllate o addirittura fare da capro espiatorio per sedare uno scandalo, Roman, il più serpentino di tutti, quando ci sarà da carpire informazioni tra gli azionisti e Siobhan quando ci sarà da ripulire la facciata della compagnia dopo una terribile ondata di abusi sessuali. Ognuno di loro sarà però poi puntualmente scaricato e ferito, con violenza ogni volta maggiore, dallo spietato genitore.
Nessuno di loro godrà mai della piena fiducia o del rispetto da parte del padre. "I love you, but you are not serious people", sentenzierà l'impresario in uno dei dialoghi più duri dell'ultima stagione. Ponendo così il suggello a un irrisolvibile scenario shakespeariano dove le conglomerate prendono il posto dei regni, ma il dramma e gli intrighi si intrecciano fitti quanto nelle opere del bardo. Dove la figura paterna è così ingombrante che, in sua assenza, la già drammatica situazione non potrà che sfociare nel totale sovvertimento degli equilibri, nel caos più totale di una lotta fratricida.
Se la storia di "Succession" segue lo stampo di una tragedia di stampo teatrale, il suo svolgimento incontra però numerose volte la commedia brillante, irretendo lo spettatore con situazioni esilaranti e imprevedibili. 

I am gonna grind his fucking bones to make my bread

"I am gonna grind his fucking bones to make my bread", "You little Machiavellian fuck!", ma anche "It's like Israel/Palestine, except harder, and much more important", o ancora "Norway, Sweden, what's the difference? It's all descended from the same rapists".
"Succession" è una fucina inarrestabile di citazioni al vetriolo e insulti creativi che vengono pronunciati da protagonisti e comprimari senza soluzione di continuità. Ogni episodio serba almeno una decina di scambi affilati e irriverenti, pronti a essere utilizzati scherzosamente tra fan o riciclati sui social in innumerevoli meme
Queste sassate verbali sono incastonate in una sceneggiatura che non lascia tirare il fiato né agli attori né agli spettatori. Entrare nelle stanze del potere della Waystar Royco equivale a esporsi a un'incessante tempesta di parole: dati sul valore delle azioni piovono a catinelle, in un angolo della stanza vengono scambiati segreti all'orecchio, mentre i personaggi in primo piano apprendono di un repentino cambio di equilibri dallo schermo di uno smartphone.
Fuck, fuck, e ancora fuck. Slang e gergo tecnico vengono fusi a freddo da Armstrong e dalla sua crew di brillanti scrittori in un uso del linguaggio che vede in innovazione e coinvolgimento le sue parole chiave. Del resto parliamo di uno show in cui l'elemento verbale è di gran lunga il più importante. Lo spettatore non vede accadere una buona percentuale degli eventi rilevanti di "Succession", ne viene invece a conoscenza ascoltando l'ennesimo scambio tra due attori che dialogano come due mitragliatrici in battaglia. La restante parte degli eventi fondamentali di "Succession" è rappresentata invece proprio da dialoghi.

Gli showrunner della serie non conoscono limiti, non hanno paura di sfidare continuamente chi guarda alzando progressivamente la posta in gioco. Vedremo quindi momenti realistici alternarsi ad altri decisamente più provocatori. Ghigneremo di gusto quando un fratello geloso farà risuonare "Rape Me" dei Nirvana nella hall del convegno degli azionisti durante l'intervento della sorella, appena investita dirigente per lavare la faccia dell'azienda da uno scandalo per ricorrenti molestie sessuali ai danni di dipendenti donne. Spalancheremo invece la bocca quando negli ultimi episodi Kendall e Roman cambieranno ripetutamente idea su quale candidato alla presidenza appoggiare solo e soltanto per il proprio tornaconto. In poche parole: la scrittura di Armstrong e la sua cricca non teme il confronto con quelle di Simon, Gilligan o Chase.
Ancor prima che la regia, sapiente e controllata nel dirigere un cast sfavillante, all'azione sia in gruppi ristretti (si pensi ai ricorrenti dialoghi tra fratelli o agli incontri tra Logan e prole) che molto ampi (feste, ricevimenti, riunioni degli azionisti), sono la fotografia e il montaggio a corroborare l'effetto immersivo della sceneggiatura. Zoomate improvvise, primi piani che si stringono sul volto di chi parla col fare di un'ispezione anatomica per rivelare una ruga che si increspa o l'innescarsi di un tic nervoso. E ancora, stacchi repentini, allargamenti di campo fini a raffreddare la temperatura sono solo alcune delle armi visive di una serie tecnicamente minimale, ma coinvolgente in maniera quasi fisica. Capace di far sentire lo spettatore dentro i suoi luoghi, a pochi centimetri dai logorroici narcisisti smaniosi di potere che mette in scena.
Grazie all'utilizzo frequente di camere a mano, spesso l'inquadratura non è ferma. Trema un po', si avvicina a un palmo di naso dal volto di chi parla o si appiccica alle spalle di chi percorre rapidamente un corridoio gremito o la sala di una festa organizzata per foraggiare una campagna elettorale. In questo modo sembra davvero di osservare le scene dagli occhi di uno dei presenti, di essere lì.

Pur trattandosi di uno show incredibilmente loquace, "Succession" concede ai suoi spettatori degli attimi di tregua, di decompressione. In questi frangenti le telecamere seguono i protagonisti in riflessivi momenti di silenzio e solitudine nel retro delle limousine, si concentrano sui loro eleganti abiti griffati, o semplicemente indugiano sugli elicotteri e i jet che li trasportano sospesi nell'aria. O ancora, immortalano dall'alto le campagne, le tenute o i grattacieli verso i quali le vicende si dirigono.
È in questi momenti che entra in gioco l'elegante colonna sonora di Nicholas Brittell, compositore fedelissimo di Adam Mckay (all'opera però anche con Chazelle e McQueen), che carica le scene di dramma con pianoforti romantici, archi sontuosi e un ardore devoto a Glass, Gershwin e Rachmaninoff. Il tema dei titoli di testa è in tutta probabilità uno dei più riconoscibili dell'ultimo decennio.

A mettere insieme gli elementi di questa imponente raffigurazione di una famiglia americana e dell'America stessa, troviamo una folta crew di registi della quale fanno parte lo stesso Adam McKay, Adam Arkin, Miguel Arteta, S.J. Clarkson, Andrij Parekh, Kevin Bray, Lorene Scafaria, Robert Pulcini, Shari Springer Berman, Becky Martin, Matt Shakman, Cathy Yan e Mark Mylod. È proprio all'ultimo nome di questa lista, già all'opera in numerosi episodi di "Game Of Thrones" nonché con Sacha Baron Cohen in "Ali G Indahouse" e con il recente "The Menu", che tocca dare l'impronta agli episodi più toccanti e cruciali della serie, diventandone a tutti gli effetti un intestatario alla stregua di Armstrong. La fiducia di Armstrong in Mylod è cresciuta esponenzialmente nel tempo, tanto che tutti i momenti cruciali dell'ultima stagione, inclusi l'episodio conclusivo e un quel numero 3 destinato a fare scuola, sono stati affidati dal patron della serie al minuzioso regista inglese, che ne ha reso al meglio la carica drammatica e i twist mozzafiato.

Gruppi di personaggi e gruppi sociali

Come già anticipato, l'efficacia di una serie come "Succession" nel raffigurare un mondo sfaccettato come quello delle grandi imprese e delle famiglie al comando di un impero economico passa necessariamente per una ricca rosa di personaggi, tanto ben scritti quanto ben interpretati. Di personaggi memorabili, che hanno preso vita grazie a un cast stellare e transgenerazionale, la serie di Jesse Armstrong ne ha a bizzeffe. In questo paragrafo conclusivo proviamo a raggruppare alcuni dei più importanti in base alla funzione che rivestono nelle vicende.

I Roy – Durante questa disamina di "Succession" della famiglia a capo dell'impero Waystar Royco abbiamo detto in abbondanza, tuttavia è interessante analizzare alcuni aspetti archetipici alla base dei quattro personaggi, cinque con Connor, al centro della serie.
Spietato quanto infallibile, il Logan Roy di Brian Cox è un Re Lear più crudele e lucido dell'antenato shakespeariano. Non conosce fallimento, è sempre tre o più passi avanti rispetto agli altri e se pure gli capitasse di fallire, non lo ammetterebbe. È proprio a causa della sua indiscutibilità che i figli sono invece così insicuri. La sua insostituibilità causa caos e faide incontrollabili. Scozzese come il personaggio, è un fuoriclasse come Brian Cox a dargli vita, costruendolo minuziosamente con espressioni arcigne e scatti d'ira e conferendogli un fascino sinistro e magnetico. Impassibile, agghindato come un moderno monarca in alta sartoria, Cox riesce a fare sembrare Logan Roy il protagonista di un dipinto celebrativo o della copertina di Forbes ogni qualvolta appare in scena.
Sin dall'inizio della serie, Kendall, a suo modo di vedere erede designato al trono di Logan, sembra l'unico personaggio eventualmente capace di prendere le redini dell'azienda e spingerla verso un essenziale rimodernamento. L'unico in possesso di un know how tecnico-politico sufficiente a mandare avanti un gigante economico del genere. È però un narciso instabile, vittima delle sue nevrosi e delle dipendenze, incarnato da uno straordinario Jeremy Strong che ne fa una maschera elettrica e ipercinetica, geniale e fragile. I suoi picchi di coraggio e acume imprenditoriale sono però spesso seguiti da abissi di autodistruzione e autocommiserazione.
Glamorous ma viscido, Roman ha la faccia e le movenze agitate di Kieran Culkin. Non ha le competenze e le capacità del fratello maggiore, ma dei tre fratelli è il più affezionato al vecchio padre, che in virtù di questo affetto speciale, o soltanto per trarne vantaggio, lo terrà sempre in conto per la successione. Roman è la rappresentazione più lampante della mancanza di limiti etici in cui può incappare una famiglia dal potere ampio come i Roy. Anche dialetticamente, il rampollo non sembra conoscere freni o pastoie e e apostrofa ogni dipendente e familiare nelle maniere più colorite e riprovevoli possibili. Nelle relazioni ordinarie ha problemi a letto, mentre mandare dick pic a una dipendente più anziana sembra eccitarlo come null'altro.
Quando facciamo conoscenza con Shiv, la giovane non sembra interessata a far parte del business di famiglia. Al contrario, si dedica a organizzare la campagna elettorale di un candidato senatore democratico, Gil Eavis (Eric Bogosian), particolarmente distante dalle posizioni repubblicane del padre. Non appena la chiamata di Logan fa capolino nella sua vita sortisce però gli effetti del canto di una sirena e la giovane diventa una delle più spietate e spregiudicate contendenti al titolo.
Di fatto fuori dalla partita per la successione, poiché non ritenuto adeguatamente intelligente dal padre, Connor è il primogenito dei Roy. Avulso dal contesto aziendale, se non quando le sue quote societarie sono necessarie a far pendere l'ago della bilancia da un lato o dall'altro, Con è lo zimbello della famiglia. Non sembra però curarsene più di tanto: si gode una criticatissima relazione con l'ex-prostituta Willa Ferreira (Justine Lupe), si dedica alla cultura e al buon cibo e si imbarca in un'improbabile candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Al costo di una leggera malinconia di fondo, tipica di ogni bouffon che si rispetti, è l'unico figlio di Logan libero dal gioco del padre.

I "nemici" di Logan - Come ogni capo dinastia che si rispetti Logan Roy ha tanto potere quanti nemici. Sebbene non sia un suo diretto oppositore in termini strategico-politici, la più grande nemesi di Logan Roy, perlomeno sul piano ideologico, è rappresentata da suo fratello maggiore Ewan (il candidato all'Oscar James Cromwell). I due sono cresciuti insieme in Canada, dove sono immigrati dalla Scozia ai tempi della Seconda guerra mondiale a causa delle condizioni economiche precarie della famiglia. Ewan è ecologista, anticapitalista, ha combattuto la guerra in Vietnam e depreca qualsiasi azione del fratello minore. Così facendo, e grazie al suo cospicuo gruzzolo di azioni, funge da coscienza critica della Waystar Royco e dà battaglia al fratello in ogni occasione.
Con l'aiuto di Stewy Hosseini (Arian Moayed), amico di Kendall dei tempi di Harward e detentore di un grosso pacchetto azionario della Waystar Royco, il competitor di sempre di Logan Roy, Sandy Furness (Larry Pine) riesce a infiltrarsi nell'assemblea degli azionisti del rivale rendendogli stoppose numerose manovre. La guerra tra Logan e Sandy è una delicata partita di scacchi finanziaria che di corretto ha soltanto i toni civili che i due mantengono in pubblico.
Nan Pierce (Cherry Jones) è invece la matrona a capo dei Pierce, la famiglia che controlla la Pgm, il colosso dell'informazione più lontano in assoluto da Atn e Logan Roy, dunque democratico, progressista e a forte trazione femminile. Logan è eternamente ossessionato dall'idea di acquistare la Pgm, probabilmente soltanto a causa di quello che rappresenta e per il trattamento riservatogli dai programmi dell'emittente, piuttosto che mosso da reali benefici economici.
L'unico competitor che sembra meritare, almeno in parte, il rispetto di Logan Roy è il guru dell'It svedese Lukas Mattson (Alexander Skarsgård), al punto di riuscire a tentare il vecchio con un'Opa che potrebbe porre fine all'annosa questione della successione. Sorta di versione fantasiosa di Mark Zuckerberg, almeno nella misura in cui Logan Roy è ispirato a Rupert Murdoch, Mattson se ne va in giro per riunioni e convegni in tuta e sneakers, ma in realtà è soltanto la versione 2.0, l'upgrade per un mondo dominato dai social, dei vecchi e spietati manipolatori magnate dei media. 

Le donne di Logan - Non fosse che alcune di queste rientrano tranquillamente anche nella categoria precedente, le donne di Logan potrebbero essere numerose quanto i suoi nemici. Nonostante la sua attitudine fallocentrica da capobranco, il vecchio patriarca esercita sulle donne che lo circondano un fascino magnetico. Le uniche capaci di domarlo sono quelle fuori dalla sua vita o quelle completamente coscienti dell'uomo che hanno vicino e delle sue dinamiche. Caroline (Harriet Walter) quindi, che vive lontana dall'impero e sembra più accigliata verso i figli che verso l'ex-marito, proprio perché hanno scelto di vivere alla corte del padre, e Marcia (Hiam Abbas), la terza moglie di Logan capace di gestirlo perché ne conosce e accetta ogni difetto.
Tra la miriade di volti noti che vediamo apparire in "Succession", c'è quello di Holly Hunter, chiamata ad interpretare Rhea Jarrel. Invaghitasi di Logan, la talentuosa executive di Pgn finisce per perdere finanche la credibilità professionale pur di stare al fianco del magnate. Un destino simile spetta anche a Kerry, l'assistente personale di Logan, che di stagione in stagione gli diventa sempre più vicina, per poi uscirne distrutta quando, non potendo più contare sulla protezione del vegliardo, i benefici ottenuti dalla relazione le franano addosso.

The Old Board - Non solo famiglia: la Waystar Royco è ovviamente popolata da un esercito di funzionari ed esperti, tanto professionalmente eccelsi quanto moralmente discutibili. La consigliera generale Gerri Kellman (J. Smith Cameron), il Cfo Karl Muller (David Rashe), il vice chairman Frank Vernon (Peter Friedman) e il responsabile delle strategie di comunicazione e dell'unità di crisi Hugo Baker (Fisher Stevens) sgusciano come serpenti nei corridoi ombrosi della compagnia e sono disposti a tutto per permanere il più possibile nelle loro posizioni di potere. Interpretate brillantemente dai loro attori con l'eleganza e gli spigoli tipici della New Hollywood, queste eminenze grigie tessono intrighi e incalzano faide per sopravvivere al cambio di generazione in corso.

The disgusting brothers - A partire dalla quarta stagione, giocano a chiamarsi così tra di loro il marito di Shiv e direttore di Atn Tom Wambsgans (un Matthew MacFayden che dà filo da torcere a Jeremy Strong nella contesa per il titolo di miglior attore del lotto) e Greg Hirsh (Nicholas Braun), aka "il cugino Greg", il nipote di Ewan che, nonostante la contrarietà del nonno, fa di tutto per ritagliarsi uno spazio alla corte dei Roy. I due sono l'emblema dell'arrivismo, una coppia di parvenu instancabili e smaliziati, disposti a tutto per scalare la piramide sociale. Quando il giovane Greg arriva a New York nell'indifferenza generale dei cugini per reclamare una posizione nella selva della Waystar Royco, è Tom ad accoglierlo sotto la sua ala protettiva. Da quel momento i due diventano inseparabili, fanno tesoro delle informazioni che collezionano e si scambiano ("Information is like a bottle of fine wine, you store it, you hoard it, you save it for a special occasion and then you smash someone's fucking face in with it", dice Tom a Greg in un momento iconico dell'ultima stagione) e resistono a ogni scossone che investe la famiglia.
Tom e Greg cadono sempre in piedi e sono gli azionisti di maggioranza del bagaglio di citazioni celebri di "Succession". Duo comico caustico e brillante, dai tempi a dir poco perfetti, i "disgusting brothers" ne hanno per tutti, il loro commenti sferzanti mietono vittime di puntata in puntata come bombe a grappolo. Anche due personaggi del genere hanno però dalla loro una complessità psicoanalitica, il retrogusto melanconico e tormentato di chi è destinato a sentirsi fuori posto per sempre.

Prima stagione: 8.5

Seconda stagione: 9.5

Terza stagione: 9

Quarta stagione: 9.5

Succession
Informazioni

titolo:
Succession

titolo originale:
Succession

canale originale:
Hbo

canale italiano:
SKY Atlantic

creatore:
Jesse Armstrong

produttori esecutivi:
Adam McKay, Will Ferrell

cast:

Hiam Abbass, Nicholas Braun, Brian Cox, Kieran Kulkin, Peter Friedman, Matthew MacFayden, Alan Ruck, Sarah Snook, Jeremy Strong, J. Smith-Cameron, David Rashe, Fisher Stevens, Alexander Skarsgard

anni:
2018-2023