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recensione di Paolo A. d'Andrea

«Quasi mezzo secolo dopo aver diretto il suo primo B-movie a Hollywood - "Dr. Broadway", del 1942 - e ventitré anni dopo la sua morte prematura sul set europeo di Sull'orlo della paura, Anthony Mann (1906-1967) rimane il piú trascurato tra i principali registi americani del sonoro.» (Richard T. Jameson)


Il vantaggio di essere trascurati


Nell'àmbito della filologia e della critica del testo antico si suole attribuire particolare importanza ai manoscritti conservati in centri periferici, isolati. Questo poiché, proprio in quanto dimenticate o trascurate, quelle versioni dei testi risultano spesso scevre da modifiche, interpolazioni, correzioni arbitrarie. Sono insomma caratterizzate da una purezza superiore, da una pulizia primordiale che le differisce profondamente dai corrispettivi "cittadini", molto consultati e conseguentemente molto soggetti ad interventi postumi.

Forse, tramite un parallelismo sin troppo audace, si potrebbe applicare questa stessa considerazione al cinema di Anthony Mann. Un cinema vittima di una strana contraddizione: da un lato ormai unanimemente considerato "classico", dall'altro a tutt'oggi - se si escludono poche ma considerevolissime eccezioni - poco approfondito, quasi negletto dalla nuova generazione di critici. Un destino che non rende il giusto tributo ad un autore immenso e straordinariamente influente, ma che al contempo permette a quello stesso autore di stazionare in una dimensione primigenia ed inviolata. La stessa di quei vecchi e scordati codici. Perché vedere un film di Mann significa recuperare l'innocenza del cinema puro. Significa fare i conti, prendendo in prestito le parole del grande André Bazin, con una «franchezza commovente».


Borden Chase, il moralista ambiguo

«Sono veramente un illetterato.» (Anthony Mann)

Terra lontana è il sesto western di Anthony Mann. Il quarto con protagonista James Stewart. Il terzo ed ultimo scritto da Borden Chase. Chase è il piú grande sceneggiatore del western americano e, assieme all'altrettanto talentuoso Philip Yordan, il preferito di Mann. I suoi script, sintesi di accurato realismo ed eterogenee influenze culturali, forniscono ai western di Mann la dimensione mitica e quella allegorica. Il continuo ricorso alla simbologia cristiana, gli insistiti rimandi alla tragedia greca e, conseguentemente, alla sua reinterpretazione in chiave psicanalitica trasformano le sue storie di Frontiera in specie di moniti ancestrali, di drammi esemplari e senza tempo. Contemporaneamente, grazie al suo amore per l'ignoto e per l'avventura pura - spesso nei suoi copioni sono centrali le tematiche del viaggio pericoloso e della "conquista" di territori selvaggi ed inesplorati - consente a Mann di esprimere pienamente il suo talento per l'azione e il suo squisito gusto paesaggistico.

Chase è anche e soprattutto un grande scrittore moralista. Sovente nelle sue trame la cupidigia è il motore che innesca i conflitti fra i personaggi: l'oro trasforma uomini onesti in individui violenti e senza scrupoli, tramuta città pacifiche in covi di immoralità e perdizione ("Là dove scende il fiume", "Terra lontana"); il relativismo è ripetutamente condannato in nome di una ribadita "necessità dell'ideale" (lo stesso "Terra lontana", ma anche "Vera Cruz" di Aldrich). Eppure, a margine di cotanto afflato etico - peraltro pienamente condiviso dallo stesso Mann -, emerge costantantemente un'ambiguità di fondo, un pessimismo sotterraneo. Gli eroi che portano alla conquista della stabilità comunitaria e al ripristinarsi della dirittura morale sono quasi sempre uomini che a quella stabilità sono completamente estranei, e da quella dirittura morale li distingue un passato tremendo e un presente «affilato sino all'estrema punta di sé stesso» (P. Demonsablon).

Lo stesso modo in cui Chase reinterpreta gli exempla biblico-tragici è significativo di questo atteggiamento: in "Winchester '73" (1950), primo grande risultato della coppia Mann-Stewart, il conflitto tra fratelli - ovviamente memore del mito veterotestamentario di Caino e Abele - viene risolto con un capovolgimento che vede il "buono" prendere dolorosa coscienza della necessità di eliminare il "cattivo". In "Terra lontana", d'altra parte, l'accettazione da parte del protagonista del precetto evangelico "ama il tuo prossimo come te stesso" avviene non per una precisa volontà personale, piuttosto per un succedersi di eventi che, ponendolo di fronte al pericolo di una solitudine spaventosa, lo costringono a fare quella scelta. Valutare l'apporto di questo strano, ambiguo moralista è indispensabile per capire il cinema di Mann.


La campan(ell)a ha suonato

"Terra lontana" è il risultato piú alto del sodalizio Mann-Chase, nonché la summa delle tematiche cardine del loro cinema. Fondamentalmente, è la storia della nascita di una comunità e di una presa di coscienza sociale.

Ambientato simbolicamente - come bene nota Matteo Pollone nell'ottimo Il western di Anthony Mann - The Man in the Wild, the Wild in the Man, la prima monografia in tema pubblicata in Italia - presso due confini, uno territoriale - l'Alaska e il Canada, propaggini ultime della Frontiera - e uno temporale - il film è ambientato nel 1896, dunque in un'epoca considerata tradizionalmente estranea alla narrazione western classica -, mette al centro un eroe cinico ed individualista fino all'autodistruzione che a quel mito di fondazione partecipa quasi involontariamente, diremmo fatalmente.

Jeff Webster, dei protagonisti del cinema di Mann e Chase, è il piú enigmatico e tragico. Il suo egoismo ottuso non deriva da esperienze precedenti, da torti subìti in passato: pare innato. Proprio per questo la decisione finale di dare il proprio contributo al bene comune sembra ben piú una resa che una conquista: Jeff, uomo in via d'estinzione, deve adattarsi al nuovo mondo se vuole sopravvivere. E, paradossalmente, quell'adattamento passa attraverso la perdita della sua perfetta controparte femminile - la coraggiosa, intraprendente Ronda Castle di Ruth Roman - e l'eliminazione fisica dell'uomo che piú sentiva vicino al suo modo d'essere, l'atipico antagonista di John McIntire. Se Gannon è un morto, Webster è insomma poco piú che un sopravvissuto.  Il germe del western crepuscolare comincia qui a corrodere dall'interno il tessuto della classicità.

Tormentato, come spessissimo accade in Mann, dalla condizione perenne del viaggio, dall'incapacità di concepire una dimensione stanziale, l'eroe di Stewart trascina con sé il simbolo della propria dissolvenza: quella campanella apposta sulla sella che, gli ricorda piú volte il pard Ben Tatum - vera e propria coscienza costruttiva del protagonista -, un giorno dovrà apporre all'uscio della propria casa, segno di una temuta e al contempo agognata pace.


L'incombere delle cose sugli uomini

«Anthony Mann mi piace: le sue inquadrature sono firmate.» (Vincente Minnelli)

Nel caso di Anthony Mann contenuto e forma sono piú che mai inscindibili. Il bisogno violento di movimento dei protagonisti di "Terra lontana" trova il suo corrispettivo nell'ampiezza delle panoramiche, nella fluidità delle carrellate, nella concezione attiva della cinepresa, che sembra anch'essa nervosamente vivere, «vivere di vita propria» (M. Pollone), in aperto contrasto con la grammatica classica che prevede la subordinazione dei movimenti di macchina a quelli dei personaggi. Allo stesso modo la claustrofobia, la difficoltà degli eroi manniani a stare fra quattro mura è straordinariamente resa attraverso riprese in interni «leggermente inclinate, che accentuano l'incombere delle cose sugli uomini» (P. Mereghetti).

Il largo uso di primi piani, contrariamente a quanto si potrebbe pensare per nulla comuni nel cinema di genere dell'epoca, accentua invece la dimensione psicologica della vicenda: il volto di James Stewart, rigato da un'angoscia «assai mal nascosta dalle lunghe braccia penzoloni e dalla testa un po' reclinata» (Lourcelles), i suoi moti di odio e di gentilezza, sono ripresi con piglio naturalistico. La simbiosi dei personaggi con la natura è infine ribadita da immagini altamente simboliche: al momento del primo scontro armato fra Jeff e Gannon presso il confine, vediamo per un attimo la figura intera di Stewart a cavallo posta in controluce su un ammasso di vegetazione del quale il nostro sembra quasi un prolungamento. Prima dello scontro finale, allo stesso modo, un piano americano dal basso di Jeff stagliato contro il cielo rischiarato dalla luna piena segna il momento della presa di coscienza, la comprensione - pure, come abbiamo detto, mai del tutto limpida - del proprio ruolo nel mondo.


Il dramma del visibile e dell'invisibile

«Il western [...] è un dramma del visibile e dell'invisibile, tanto quanto un'epopea d'azione: l'eroe agisce solo perché vede per primo, e trionfa solo perché impone all'azione l'intervallo o quel secondo di ritardo che gli permettono di vedere tutto.» (Gilles Deleuze)

Applicando l'osservazione di Deleuze a "Terra lontana", si potrebbe dire che se Jeff Webster effettivamente  «vede per primo», di certo fatica ad imparare da ciò che vede. Il fatto di prevedere la valanga durante il tragitto per Dawson non lo spinge ad aiutare coloro che, al puntale verificarsi di quanto predetto, da quella stessa valanga vengono travolti. Soltanto l'intervento dell'amico Ben lo convince a ritornare sui suoi passi. Alla stessa maniera, pur abile con la pistola, non riesce ad evitare di essere ripetutamente ferito; il duello finale, lungi dall'essere pulito e alla luce del sole, si svolge di notte e trova il suo epilogo nella posizione più inusuale per i protagonisti di un western classico: Gannon viene colpito a morte mentre striscia a terra, sotto gli assi che fungono da passerella di fronte all'entrata del saloon. L'intervallo che Webster impone all'azione, ancora parafrasando le parole di Deleuze, è sempre ritardato poiché l'indecisione, la lacerazione interna al suo animo - quell'essere, in tutti i sensi, un "uomo sul confine" - non gli consentono mai una lucidità piena, immacolata.

Il western di Mann è questo dramma della scelta, questo stare in bilico, questo riuscire ad essere eroi nonostante sé stessi, nonostante tutto, nonostante troppo.

«Tra ordine e disordine, tra voglia di pacificazione e aspirazione alla marginalità, tra individualismo e valori della comunità, si dipana di film in film l'itinerario schizofrenico di un personaggio che incarna in modo meraviglioso il senso di precarietà e di sacrificio veicolati dall'inevitabile movimento verso l'Ovest, la colonizzazione dei territori vergini, la fine della Frontiera.» (Alberto Morsiani)


01/10/2013

Cast e credits

cast:
James Stewart, Ruth Roman, Corinne Calvet, Walter Brenna


regia:
Anthony Mann


titolo originale:
The Far Country


durata:
97'


produzione:
Aaron Rosenberg per Universal-International


sceneggiatura:
Borden Chase


fotografia:
William Daniels


scenografie:
Alexander Golitzen, Bernard Herzbrun


montaggio:
Russell Schoengarth


costumi:
Jay Morley


musiche:
Joseph Gershenson, Henry Mancini


Trama
Jeff Webster, un cow-boy ricercato per omicidio, giunge con la sua mandria a Skagway, ove intende vendere i capi al prezzo da lui stabilito. Qui però il giudice-sceriffo Gannon, pur assolvendolo dall'accusa di assassinio, gli sequestra l'intera mandria. Jeff così, ritrovatosi senza soldi e senza lavoro, decide di accettare l'offerta della bella avventuriera Ronda Castle, che gli propone di guidare una spedizione verso il neonato villaggio di Dawson, in Canada. Riappropriatosi illegalmente del suo bestiame, il nostro guida la carovana a destinazione dopo numerose peripezie. Il giudice Gannon però, nel frattempo, non è rimasto a guardare...