Ondacinema

recensione di Giuseppe Gangi
6.0/10

Realizzare un film intorno a un personaggio realmente esistito non è mai semplice, men che meno quando si va a indagare la vita di una persona di genio o una celebrità, il cui culto ha fatto sì che ciascuno ne abbia potuto fabbricare un'idea personale. È forse per questo che i biopic sono, da una parte, un porto sicuro, basta azzeccare il personaggio o la storia per avere una presa su una fascia di pubblico, dall'altra, rischiano invece di essere artisticamente sterili o interessanti unicamente per le prove di immedesimazione della star di turno (e si noti quanto spesso vincano premi importanti attori che interpretano personaggi realmente esistiti). Perciò, solo il taglio autoriale di un grande regista (si vedano le prospettive di Todd Haynes su Bob Dylan in "Io non sono qui" o l'"Alì" di Michael Mann) o di una penna raffinata (il recente "Steve Jobs" scritto da Aaron Sorkin) può gettare una luce rivelatrice e realmente creativa sull'esperienza di vita di un personaggio importante.

David Foster Wallace rappresenta quindi un caso spinoso sotto molti aspetti: amatissimo da più di una generazione di lettori, scrittore tra i più importanti e influenti degli ultimi vent'anni e con il triste mistero intorno all'improvviso (ma non imprevedibile) suicidio che lo strappò al mondo il 12 settembre del 2008. Il film inizia così, quando David Lipsky riceve una telefonata che lo avverte che gira la notizia non ancora confermata del suicidio di Wallace: il giornalista interpretato da Jesse Eisenberg va allora alla ricerca delle registrazioni che aveva effettuato durante i giorni in cui aveva accompagnato lo scrittore a Minneapolis (dal 5 al 10 marzo del 1996), ultima tappa del tour promozionale di "Infinite Jest", il romanzo che l'aveva rivelato tra le grandi promesse della letteratura contemporanea. Dopo questo prologo, comincia un flashback che copre quasi l'intera durata della pellicola in cui Donald Margulies adatta il libro-intervista che Lipsky ha dato alle stampe nel 2010, a quanto pare in maniera non solo estremamente fedele ma usando anche particolari provenienti da Lipsky stesso e che lo scrittore aveva deciso di non usare nel suo libro.

Il ritratto che ne viene fuori è affettuoso e sincero, l'on the road in compagnia dei due scrittori piacevole e garbato; eppure il film è incapace di dire alcunché di nuovo sulla figura di Wallace, tracciandone un profilo ingabbiato dalla contingenza del reportage realizzato nel '96 per Rolling Stones (e mai pubblicato). Qui risiede il limite principale dell'opera di James Ponsoldt, corretta e ben diretta ma senza una vera direzione che non sia seguire l'interazione e il conflitto tra due personalità forti costrette a convivere per alcuni giorni fianco a fianco. Così, il timido e impacciato David, recluso in una sperduta università statale dell'Illinois accoglie l'omonimo newyorkese, precoce promessa della letteratura ( i suoi racconti furono apprezzati addirittura da Raymond Carver, ma questo il film non lo dice) finito a fare il collaboratore presso Rolling Stones e il cui esordio nel romanzo, "The Art of Fair", non riscuote alcun successo proprio mentre "Infinite Jest" viene incensato come un capolavoro da qualsiasi critico americano. L'abbrivio al racconto è dato dalla curiosità e dal sospetto che nasce in Lipsky, il quale parte alla volta di Bloomington per scoprire chi sia davvero David Foster Wallace. La prima parte del film è naturalmente uno studio di caratteri: il giornalista cerca di intrufolarsi nella quotidianità dell'intervistato e questi dissimula su qualsiasi aspetto che lo riguarda, mostrandosi come un ragazzo normale senza alcuna pretesa intellettuale. Gradualmente, vediamo Wallace iniziare a confidarsi e a parlare a ruota libera di numerosi argomenti (la tv, la scrittura, i rapporti personali) e chi conosce l'autore ritroverà svariate idee appartenenti ai suoi futuri volumi di articoli e saggi. Un ulteriore limite che si riscontra è che tali discussioni, che permettono di riallacciare connessioni mentali a chi abbia letto "Tennis, tv, trigonometria (e un'altra cosa divertente che non farò mai più)" o "Considera l'aragosta", risultano "solo" interessanti o curiosi a chi invece non conosce l'autore: al film manca l'abilità di contestualizzare il fenomeno-Wallace nelle lettere americane di fine secolo, di accennare al suo modo di pensare e di vedere la realtà che esplodeva nel mastodontico "Infinite Jest", senza appoggiarsi totalmente alla stampella costituita dal testo di Lipsky.

C'è un momento cardine che rimette in discussione il rapporto tra i due scrittori, che aveva preso una deriva amicale: Lipsky in maniera inerte flirta con un'amica di Wallace (e sua ex), il quale fa una vera scenata di gelosia intimandogli di comportarsi da "bravo ragazzo" ("be a good a guy"). La tensione si scioglierà solo tornati nella casa di Bloomington, grazie a una passeggiata che è un profluvio di lens flare in pieno stile Sundance. Segnaliamo questo passaggio poiché mostra come la strategia dietro il film, pur restando fedele al personaggio che conosciamo, pur mettendolo in scena con un'idea registica coerente, provi a creare un conflitto tra le parti da cui far scaturire un climax drammaturgico: l'obiettivo di rendere il rapporto più reale e significativo fallisce però sul piano narrativo, riducendosi a una scaramuccia piuttosto convenzionale. La convenzionalità rispecchia il tono globale di un lavoro in cui Ponsoldt sceglie la linearità quale metro stilistico per cullare lo spettatore simulando per lui una chiacchierata con un personaggio di cotanta fama; ma il pregio di avvicinarsi alla sensibilità dell'uomo, restituito con garbo dall'interpretazione di Jason Segel, rischia di scivolare nell'anonimato, vista l'incapacità di alzare il tiro ottenendo dei picchi dai propri personaggi.

In ultima istanza, bisogna dirimere il punto interrogativo rappresentato dal personagggio di David Lipsky: la regia di Ponsoldt insiste spesso sulle espressioni di un Eisenberg spesso in imbarazzo in questo film, ma il suo punto di vista su Wallace non appare realmente chiaro e di conseguenza il suo filtro - è attraverso lui che conosciamo l'autore di "Infinite Jest" - resta opaco; l'onestà presunta con la quale il protagoista si descrive, vittima della mente di Wallace ma suo carnefice sul piano morale, e l'appiattimento di una regia che si priva di qualsiasi virtuosismo che non sia l'insistere sui dialoghi tra i due personaggi, in un continuo incontro e scontro in campo e controcampo sembra faccia emergere, quasi involontariamente, la vera essenza di questo film: il dialogo lungo un viaggio che l'opaco ma brillante Lipsky intrattiene con un ragazzone di campagna pieno di eccentricità e nevrosi che si rivela ai suoi occhi come un un genio sfuggente e inafferrabile. Un viaggio che per Lipski diviene presa di coscienza della propria frustrante normalità, contemplando il gigantesco talento del suo interlocutore. Ed è quello che il lettore di Wallace ripenserà, vedendo "The End of the Tour". 


15/02/2016

Cast e credits

cast:
Jason Segel, Jesse Eisenberg, Anna Chlumsky


regia:
James Ponsoldt


distribuzione:
Adler Entertainment


durata:
106'


produzione:
Anonymous Content, Kilburn Media, Modern Man Films


sceneggiatura:
Donald Margulies


fotografia:
Jakob Ihre


montaggio:
Darrin Navarro


costumi:
Emma Potter


musiche:
Danny Elfman


Trama
Nell'inverno del 1996, il giornalista David Lipsky della rivista Rolling Stone viene inviato a scrivere un profilo sull'autore David Foster Wallace, la “rockstar della letteratura americana”, che è quasi alla fine del tour promozionale del suo libro intitolato "Infinite Jest". Nei cinque giorni successivi i due uomini, che non si conoscono, si imbarcano in un viaggio in cui scopriranno che ognuno di loro sta cercando di capire che posto occupare nella propria vita.