Ondacinema

recensione di Matteo Pernini
7.5/10

Chi non riconoscesse - nel quieto inanellarsi dei quadri boschivi che aprono il film, in quel movimento sussurrato dello sguardo, che coglie i personaggi e ne scopre, sedotto, i movimenti - l'adesione a un modello narrativo in equilibrio tra finzione e cinema documentario, non potrebbe che guardare con sospetto all'incipit de "I cormorani", trovandosi, d'un tratto, nel mezzo di un racconto già avviato, a fronteggiare il ritmo dilatato di una quotidianità astratta, di cui sfuggono senso e coordinate.
Basterebbe, allora, la bellezza di questo smarrimento sensoriale, la sottile confusione destata nello spettatore, a giustificare la severità di un prologo tanto straniante. E mentre scorre il minutaggio - e le domande aumentano - ci si dimentica di chiedere una storia all'incantevole successione di quadri che anima lo schermo. Ma di cosa parla, dunque, "I cormorani"? Dell'adolescenza, vorremmo dire, o, meglio, di quella frattura, talvolta imperscrutabile, che si apre tra l'infanzia e l'età adulta. Vi si narrano, più precisamente, le vicende lunghe un'estate di due ragazzi, Matteo e Samuele, che gironzolano senza meta tra boscaglie, campi, strade sterrate e lunapark; creature inconsapevoli, dalle pulsioni istintive e l'inesausta fantasia. Tutta qui la trama, ma è il lavorio interiore a essere in scena.

Al suo esordio da regista, dopo una nutrita attività di montatore, Fabio Bobbio spinge la macchina da presa nei territori dell'infanzia, lascia vagare l'occhio tra il fogliame del canavese e registra in silenzio l'avanzare di una incrinatura nella vita di due giovani avventurieri. Li osserviamo oziare nella calura, ciondolare tra i riflessi di un centro commerciale, rincorrersi nel bosco, piegare frasche fino a farne un rifugio, biascicare inafferrabili frammenti di un dialogo intimo, inaccessibile, sempre immersi in una temporalità altra, mai scalfita dal rigido calendario degli adulti. È, il loro, un tempo della ripetizione, l'affiancarsi di istanti, che si raccolgono in un movimento circolare, non concentrico, a disegnare geometrie come arabeschi. In questo gesto si svela la chiave di un racconto, che non avanza per schemi narrativi e al cadenzato rincorrersi di cause ed effetti preferisce la digressione. Inutile, allora, cercare, nel libero avvicendarsi delle sequenze, una direzione univoca, un proposito che non sia quello dell'adesione entusiasta al mondo di Matteo e Samuele. E se il quieto pedinamento cui Bobbio sottopone le sue creaturine ha il fascino e la precisione di un documentario naturalistico, è pur vero che lo sguardo tradisce un'insolita partecipazione alle vicissitudini dei ragazzi, sino a scovare, nell'orizzonte della loro quotidianità, esili tracce di racconto. Un breve momento di svago al lunapark si volta in una chiacchierata con due fanciulle, di cui non percepiremo una parola; un turno di rimpiattino si complica con l'ingresso di altri ragazzini; celati tra le fronde boschive, Matteo e Samuele spiano le abitudini di una prostituta. Quale sia l'esito di questi spunti, il film non lo rivela: li coglie, ne suggerisce uno sviluppo e poi se ne dimentica, secondo un ritmo che non stentiamo a riconoscere affine a quello che informa le vicissitudini della nostra quotidianità.

Seppure volto a inscenare un mondo ai margini dell'adolescenza, "I cormorani" rifiuta le facili seduzioni della nostalgia e, con essa, il ricorso all'artificio, alla sottolineatura, alle scena madre. Composto il quadro, definito il fuoco, la macchina da presa, silenziosa, si fa in disparte e attende. Cosa? Che la noia dissipi il naturale riserbo dei giovani attori; che le loro cautele vengano meno, vinte dall'insorgere di un moto di fantasia; che un'attrice in campo lungo sia confusa con una vera prostituta; che il casuale ritrovamento di una latta di vernice dia l'avvio a un gioco che ha il brio di un happening. E in questo libero accumulo degli eventi, nell'emergere di veloci tratti pronti a ordinarsi in disegno solo al termine della visione, si comprende il valore di un progetto, che aderisce al reale per intercettarne il palpito più intimo.
Se di racconto di formazione si può parlare, non è, allora, in senso tradizionale, mancando, qui, le coordinate necessarie per circoscrivere l'evoluzione dei caratteri. Come naufragato in un presente esteso, il cinema di Bobbio sembra in lotta col tempo, tutto teso a cogliere frammenti di realtà da informare in un disegno, che accoglie e confonde generi cinematografici - dall'western alla fiaba fantascientifica - e ascendenze letterarie - tra spazi salgariani e una verace spigliatezza dei caratteri, memore di certe pagine di Mark Twain. In ciò sostenuto - il cinema, dicevamo - da un comparto sonoro di rara precisione, al cui ordito di suoni reali e innesti fantasiosi, sono al contempo demandati valori illustrativi - pochi timbri e un frusciar di ramaglie bastano a introdurre un orizzonte boschivo; un tappeto di mormorii richiama il profilo di un centro commerciale - e invenzioni d'atmosfera - quali l'ingresso, tra i gridi dei volatili, di uccelli tropicali, a evocare riflessi esotici fra i pianori del canavese.

In un cinema spesso piegato a visioni di maniera, in cui l'adolescenza arranca su leziosi lirismi o si paralizza sotto l'esame di uno sguardo adulto, Fabio Bobbio ha saputo restituirla a se stessa, costruendo, con pudore e delicatezza, un'immagine a misura di ragazzo.
E se qua e là si avvertisse il sospetto di uno snodo affettato - ne è un esempio la corsa in bici - e si volesse tacciare il film di voltarsi in una facile elegia della giovinezza, osserviamo che si tratterebbe comunque di un'elegia attonita, privata di qualsivoglia pesantezza, spontanea e primitiva come i suoi protagonisti.


Per saperne di più: Speciale "I cormorani" - Intervista a Fabio Bobbio


11/01/2017

Cast e credits

cast:
Samuele Bogni, Matteo Turri, Valentina Padovan


regia:
Fabio Bobbio


durata:
89'


produzione:
Strani Film


sceneggiatura:
Fabio Bobbio


fotografia:
Stefano Giovannini


montaggio:
Fabio Bobbio


musiche:
Ramon Moro, Paolo Spaccamonti


Trama
Due dodicenni ciondolano senza meta, in una clada estate, tra i luoghi del canavese. Giocano, costruiscono una capanna, incontrano una prostituta, si rincorrono nei boschi, mentre il tempo avanza e si fa vicino lo spettro della maturità.