Ondacinema

recensione di R. Capra, G. Gangi
6.5/10

A partire da "The French Dispatch", summa e cesura del suo universo filmico, Wes Anderson ha proseguito in una radicalizzazione del proprio stile, espressa non soltanto dall'ottimo (e largamente sottostimato) "Asteroid City" ma anche dall'antologia di corti tratti dalle short stories di Roald Dahl, ossia "The Wonderful Story of Henry Sugar" (il più lungo, che è valso al regista l'Academy Award per il miglior cortometraggio), "The Ratcatcher", "The Swan", "Poison". La stilizzazione di Anderson è andata nella direzione di esplorazione delle forme del suo cinema fino a esporne il congegno formalista, le idee visive, le funzioni narrative: ad esempio, nei cortometraggi i personaggi sono al contempo attori e narratori in scena, le scenografie diorama in scala 1:1 che vengono attraversati e spostati su binari a scomparsa in una teatralizzazione della messinscena in cui convergono lo straniamento brechtiano e il teatro Kabuki.

Le origini

"La trama fenicia", il primo dopo una lunga serie a non avvalersi del fidato cinematografo Robert Yeoman, scarta rispetto a questo ponderato ed estremo processo di radicalizzazione, rischiando di apparire quasi un passo indietro o di lato. La trama è compatta e lineare, non presentando né l'assemblaggio antologico di "The French Dispatch" né le diramazioni corali di "Asteroid City" che inscatolava all'interno della casa di bambole del suo cinema sentimenti, aspirazioni e paure di un microcosmo umano e di un immaginario visivo profondamente americano. Il nucleo di questo suo ultimo lavoro consiste nella costruzione di un rapporto genitore-figlia, ennesima variazione di relazioni familiari problematiche di cui il regista texano è stato cantore lungo l'intera carriera.

Questa apparente semplicità è spiegata da Wes stesso che ha raccontato: "Il padre di mia moglie era un ingegnere libanese. Un giorno le ha detto: Devo spiegarti il mio lavoro, in caso mi succeda qualcosa. E ha cominciato a tirare fuori delle scatole da scarpe, e ciascuna aveva un progetto. Questa è per l'Arabia Saudita, questa per Gibilterra, questa per la Florida..." "La trama fenicia" nasce da questo dettaglio squisitamente biografico, con la solita costruzione a blocchi narrativi, capienti e quadrati come scatole da scarpe, che contengono i pezzi del puzzle che ripete il leitmotiv andersoniano e il pharmakon universale, veleno e medicina di ogni vita umana, il rapporto familiare; in questo caso la relazione tra il magnate Zsa-Zsa Korda e la figlia Liesl, suora in pectore, una genitorialità conflittuale interpretata con grandissima chimica da Benicio Del Toro e Mia Threapleton. 

Orson Wes

Zsa-Zsa Korda viene presentato mentre viaggia sul suo aereo privato, scampando miracolosamente all'ennesimo attentato alla sua vita. Fin dalle prime scene è difficile non tracciare una mappa intorno alla figura del protagonista, il cui nome ha una prepotente discendenza cinefila: Zsa-Zsa come l'attrice e vedette Zsa Zsa Gabor, Korda come Alexander, importante produttore e regista (insieme ai fratelli Zoltan e Vincent), entrambi di origine ungherese e simbolo di quel cosmpolitismo artistico-cinematografico da cui era affascinato Orson Welles (come egli stesso rivela nel libro-intervista di Peter Bogdanovich). E questo film è un'altra rilettura wellesiana da parte di Anderson, perché Korda (e ancor di più il suo mefistofelico fratello) pare la parodia del Mr. Arkadin di Orson Welles che proprio su un aereo portava via con sé i segreti della sua vita. Come l'autore di "Quarto potere", Anderson sonda l'intricato rapporto identitario tra capitale e sentimento, declinandolo in maniera personale tramite l'acuta disfunzionalità degli universi rappresentati dal rapporto padre-figlia.

Zsa-Zsa rappresenta il capitalismo e, per la precisione, la finanza, mentre Liesl un sentimento religioso estraneo al padre. La giovane suora è una cattolica fervente che non ha mai veramente conosciuto il padre, in quanto cresciuta in collegio, e che anzi sospetta che la morte della madre abbia come artefice proprio Korda. Se quest'ultimo vuole assicurarsi un erede e compiere il suo più grande e ambizioso progetto, la seconda desidera avere giustizia per la madre e, magari, riuscire a convertire al Bene il genitore ancora in vita. A questa coppia di personaggi si aggiunge il dinoccolato Bjorn Lund, entomologo norvegese che Korda paga come istitutore della sua nidiata di figli e che adotta come nuovo assistente. Comic relief e sguardo esterno rispetto alle dinamiche familiari, il personaggio interpretato da Michael Cera è un camaleonte che ha più di un'identità e non poche missioni, fra le quali tenere al sicuro i soldi del magnate, tradire il proprio capo, offrire granate ai soci in affari del nostro e provare a sedurre la morigerata suorina. Così come crescono i dubbi ma anche la forza di volontà di Korda, matura il personaggio di Liesl la cui figura è tratteggiata dal regista similmente a una delle protagoniste di "Narciso nero" di Powell e Pressburger, da cui deriva anche il gusto per l'esotismo e l'avventura pura.

Finanza ed esistenza

La finanza sembra percorrere in filigrana tutta la trama de "La trama fenicia", una commedia leggera e squadrata come una banconota e che allo stesso modo esprime interessi e valori che tradiscono la sua innocua bidimensionalità. Interessi e valori addensati come nubi temporalesche intorno alla figura parafulminesca di Zsa-Zsa Korda, un colpevole in cerca di redenzione, erede di Kane (e di Arkadin), di quei magnati che erano definiti dall'accumulo di beni materiali, mentre invece nell'era della finanza "tutto ciò che è solido sembra dissolversi nell'aria" (Marx-Engels). Korda non nuota tra le monete sonanti ma galleggia sulle percentuali, lo chiamano Mister 5%. Dichiara di non avere cittadinanza, di non avere bisogno dei diritti umani, e chi altri può fare a meno di diritti e territori se non la finanza, quel gioco invisibile che determina l'esistenza stessa di diritti e territori tirando le percentuali come dadi sul planisfero, scatenando crisi e guerre, realizzando trame come quella fenicia, che nel 2025 suona pericolosamente prossima, per geografia e concetto, al nome Palestina.

Anderson non era mai stato così politico. Se "Asteroid City" era una meditazione sulla morte e l'esistenza, "La trama fenicia" si avvicina di più a una meditazione sulla morte e la finanza, con teschi che fanno continuamente capolino tra contratti di usufrutto e scatole da scarpe, jet privati che saltano come pop corn, il lusso visto come anticamera della morte e la morte come coronamento del lusso in omaggio alla dépense di Georges Bataille: "Di tutti i lussi concepibili, la morte […] è certamente il più costoso. La fragilità del corpo degli animali, la sua complicatezza, già ne illustrano il senso di lusso, ma tale fragilità e lusso culminano nella morte" (La parte maudite, 1949). Fenicie e non fenicie, le trame di Wes Anderson – narrative, cromatiche, ricorsive, simboliche, simmetriche, cinematografiche – sono altrettante Sindoni su cui si imprimono i desideri e le speranze dell'umano, troppo umano, solo davanti al nulla. E in questo senso Korda e Liesl, finanza e religione, si riconoscono davvero come parenti: due inganni che invitano a trascendere la materialità dei beni in vista di una trama più profonda, invisibile, ubiqua; entrambi si nutrono di speranza e fiducia, costruendo misteriose Xanadu su timori e fragilità universali.

Storie e altre storie

"La trama fenicia" riduce le narrazioni andersoniane a un gioco dell'oca in cui si pianificano le tappe da percorrere per poi lanciare i dadi e scommettere che il passo successivo vada a buon fine per realizzare il proprio progetto: in tal senso, il film opera secondo uno schema di accumulo in cui i protagonisti transitano da un luogo a un altro, incontrando personaggi che hanno i volti ormai familiari del cinema di Anderson e, inevitabilmente, modificando in corsa i propri piani. La regia alterna panoramiche "a schiaffo" e inquadrature totali occupate da un numero crescenti di personaggi a reaction shot e primi piani impassibili anche di fronte alle scene più bizzare e cruente, secondo quel procedimento di straniamento e di distacco che permette ai protagonisti di sopravvivere a una materia narrativa astratta che espone i propri set-décor mantenendo la logica del gioco: e dunque Zsa-Zsa, Liesl e Bjorn si muovono su aerei, trenini, navi restando sempre fermi, anche quando schivano le detonazioni di invisibili intrighi internazionali e sopravvivono all'incursione di un gruppo di terroristi politici, che sfasciano un locale notturno à la "Casablanca". Imperturbabili al pari dei personaggi sono gli oggetti di scena, i props, sebbene nell'economia generale siano meno centrali rispetto alle rivelazioni familiari e alle agnizioni che, nel percorso redentivo di Zsa-Zsa, si legano alle sue ripetute esperienze pre-mortem espresse tramite visioni in bianco e nero mostranti un'Aldilà non meno bidimensionale e fumettistico dell'aldiqua. Il cinema di Anderson è uno storyboard assai dettagliato - disegnato storicamente proprio da Wes o dal fratello illustratore - che viene pedissequamente messo in scena. E cosa rimane di questi grandi disegni e di questi piani bigger than life se non i piaceri della vita, come cucinare, fumare una sigaretta in una pausa di lavoro, imparare ad amare?

Alla fine di quest'avventura e della grandeur espressa dalla ricchezza (ma sempre sull'orlo del fallimento) di Korda, accade quello che accade in "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato" di Mel Stuart, celebre trasposizione dall'amato Dahl: Wonka si ritira in un angusto stanzino a fare i conti, in completa solitudine, in attesa di essere sorpreso da un bambino onesto. Allo stesso modo Korda, che rinuncia alla propria enorme magione e alla sua incredibile ricchezza, rimpicciolisce la propria impresa a quella di un bistrot a conduzione familiare.
Il cinema di Wes Anderson ha fiducia solamente nelle storie, nella simmetria del quadro che inquadra altre simmetrie, nell'ocra e l'azzurro che compongono i palazzi, i paesaggi, i fiumi e le dighe della Grande Fenicia, stavolta in un regime di pura paratassi, senza nemmeno la grazia di un narratore, seguendo una ricorsività estenuante e nucleante come quella dei reticoli cristallini, perseguendo la produzione esuberante e disperata di una pienezza capace di nascondere il vuoto che la ispira.


11/06/2025

Cast e credits

cast:
Benicio Del Toro, Benedict Cumberbatch, Jeffrey Wright, Charlotte Gainsbourg, Mathieu Amalric, Bill Murray, Willem Dafoe, Richard Aoyade, Scarlett Johansson, Riz Ahmed, Bryan Cranston, Tom Hanks, Michael Cera, Mia Threapleton, F. Murray Abraham


regia:
Wes Anderson


titolo originale:
The Phoenician Scheme


distribuzione:
Universal Pictures


durata:
105'


produzione:
Focus Features, American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Studio Babelsberg


sceneggiatura:
Wes Anderson


fotografia:
Bruno Delbonnel


scenografie:
Adam Stockhausen, Anna Pinnock


montaggio:
Barney Pilling


costumi:
Milena Canonero


musiche:
Alexandre Desplat


Trama
Il magnate Zsa-Zsa Korda coinvolge la figlia suora Liesl nella trama fenicia, un intrigo internazionale che muove ingenti capitali per realizzare un progetto visionario, mentre padre e figlia provano a risolvere le tragiche dinamiche familiari del loro passato