drammatico | Francia (2024)
Per una volta, un titolo italiano è molto più fedele allo spirito di un film rispetto a quello originale. Nel nostro Paese, il terzo lungometraggio di finzione delle sorelle Delphine e Muriel Coulin è distribuito come "Noi e loro", a esplicitare il cuore della storia: la divisione tra "noi", nazionalisti estremisti, e "loro", il bersaglio di quest’ultimi. "Jouer avec le feu", "giocare col fuoco", è invece la locuzione originale, facendo riferimento al tema di scottante attualità che le registe vorrebbero affrontare, ma verso cui poi restano in superficie.
Pierre (Vincent Lindon), sessantenne single e strenuo lavoratore, cresce da solo i suoi due figli adolescenti in un paesino della Lorena, regione francese al confine con la Germania. Louis (Stefan Crepon, "Peter von Kant"), il più giovane, è studioso e avviato verso la Sorbona; Fus (Benjamin Voisin, "Illusioni perdute"), il maggiore, non ha finito le Superiori: cerca un lavoro e un posto nel mondo, avvicinandosi a movimenti violenti e razzisti, finendo per scontrarsi con il padre.
Prima di "Noi e loro", le sorelle Coulin erano arrivate in Italia col loro discusso esordio, "17 ragazze", storia di un gruppo di liceali che decidono di rimanere incinte. In comune, le due opere hanno un tema scomodo al centro delle vicende, lo scontro generazionale in cui i vecchi non capiscono le ragioni dei giovani, ma anche una facile scappatoia sul finale per evitare qualsiasi radicalità di sguardo. A differenziarle sostanzialmente, la prospettiva assunta: nel primo è quella delle ragazze, nel secondo invece del padre, vero protagonista. A interpretarlo troviamo Vincent Lindon, premiato al Festival di Venezia 2024 con la Coppa Volpi come Miglior attore. Quasi un premio alla carriera, se consideriamo che il Pierre di "Noi e loro" propone molti tratti di un certo personaggio ormai facilmente associabile all’attore: un uomo comune e onesto lavoratore, portatore di valori umanitari e spesso in lotta per la difesa dei diritti (possiamo citare "Welcome" o la trilogia del lavoro di Stéphane Brizé). Anche in "Noi e loro", di fronte alla deriva del figlio maggiore, Pierre non perde la propria bussola morale. Con la scomparsa della madre, ha creato un nido maschile che vorrebbe mantenere intatto dal passare del tempo (gioca a calcio in giardino con loro, che poi salgono su un’altalena) ma che è destinato a rompersi quando Louis va a vivere a Parigi per l’Università e soprattutto Fus abbraccia ideali estremisti.
Scelta che crea un divario incolmabile col genitore, che sembra così instaurare un legame più forte con Louis ("lo ami perché è un figlio perfetto", gli rinfaccia Fus). Eppure il suo amore incondizionato per entrambi non viene meno, anche quando il maggiore diventa indifendibile. In un discorso pubblico, addossa a sé stesso e alla società le colpe dell’abbandono del figlio alle derive estremiste e proprio in questo frangente sta il cortocircuito del film. La sua spiegazione, molto generica e vaga, è un'impossibile difesa del figlio, non una denuncia o un'analisi lucida sulle cause esterne o interne. Il focus principale della narrazione è infatti il dolore e la forza del padre, modello esemplare con cui empatizzare. Le sue parole non sono sufficienti a delineare le motivazioni di Fus, che restano implicite, non però per creare un’ambiguità carica di possibili significati, bensì per la pudicizia delle autrici, che preferiscono fare leva su facili emozioni e trasmettere l’educativo messaggio dell’opera, contro l’odio e la violenza.
Approccio confermato anche visivamente, con la macchina da presa che, nelle scene con più personaggi, si colloca prevalentemente in campo medio a distanza; in più occasioni c’è un vetro in primo piano a filtrare l’immagine di Louis, come quello del finestrino dell’auto. Quando nella seconda parte prende il sopravvento la figura di Pierre, a lui sono invece dedicati intensi primi piani mentre il resto dell’inquadratura é fuori fuoco; in un frangente, le fonti di luci creano un fascio che, in maniera molto artificiale, illumina il suo corpo mentre il resto rimane al buio. Così, significativamente, in una scena in cui l’uomo, seguendo il figlio, si introduce nel microcosmo estremista, le registe adottano il suo punto di vista e, quando vediamo due ragazzi lottare a mani nude, preferiscono rimanere nella posizione di spettatrici, senza buttarsi nella mischia. Come Pierre che, dopo aver provato con poca verve a ricondurre a sé Fus, se ne va subito dopo, così in fondo fa il film, che sull’oggetto al centro della storia butta solo una rapida occhiata. Altro che "giocare col fuoco"!
Narrativamente, la storia si avvale poi di rigidi schematismi (gli estremisti sono fanatici tifosi e promuovono la cultura del corpo e della virilità), manicheismi (Louis va all’Università ed è quindi di mentalità aperta/ Fus non ha conseguito il diploma da metalmeccanico ed è quindi facilmente influenzabile), addirittura di facili parallelismi (i fumogeni che usa Pierre come ferroviere notturno/quelli degli ultras) o metafore (Fus a un certo punto rompe l'altalena come fa con la sua stessa famiglia). In un film che proprio invita a superare questa forma mentis (la netta divisione "noi e loro" abbracciata dal figlio e rigettata dal padre), è un paradosso più interessante dell’operazione complessiva.
cast:
Vincent Lindon, Benjamin Voisin, Stefan Crepon, Maëlle Poésy-Guichard
regia:
Muriel Coulin, Delphine Coulin
titolo originale:
Jouer avec le feu
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
118'
produzione:
Ad Vitam Distribution, Pathé Films AG, Cinéart
sceneggiatura:
Muriel e Delphine Coulin
montaggio:
Béatrice Herminie, Pierre Deschamps
musiche:
Paweł Mykietyn