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recensione di Alessio Cossu
6.5/10

Outlaw hero, ovvero eroe fuorilegge, antieroe: è questa l’espressione che designa una nutrita serie di personaggi a metà tra storia e leggenda che, alimentati dal soffio della cultura popolare, hanno dato a loro volta corpo a figure protagoniste di ballate, canzoni, fumetti, perfino un balletto e numerosi film di ambientazione western. Billy the Kid è quello scelto da Potsy Ponciroli per il suo debutto cinematografico. "Old Henry" è un western crepuscolare, intimista, senza troppe pretese, ma ben girato.

Inevitabilmente, nel tratteggiare la figura del fuorilegge, rispetto a chi lo ha preceduto, Ponciroli per alcuni aspetti si accoda alla tradizione, mentre per altri se ne distacca. Tradizione che, a sua volta, è piuttosto lunga e variegata: il primo Billy the Kid portato sullo schermo fu quello di King Vidor e data al 1930. Già il titolo, "Old Henry", designa uno dei tanti pseudonimi che storicamente furono utilizzati dal personaggio per celare la propria identità. Tanto rispetto alla biografia storica quanto ai precedenti cinematografici, Billy/Henry, ora un pacato ma allo stesso tempo risoluto proprietario di una piccola tenuta nell’Oklahoma al principio del secolo scorso, non è più un ventenne: è diventato padre e conduce col figlio adolescente un’esistenza che definiremmo umile e appartata. Certo il dialogo tra i due non è facile, anche perché in casa manca una figura femminile che possa calmierare tanto la fermezza del padre quanto le imprudenze dell’adolescente. Collocando il protagonista all’interno di questa inedita cornice, il regista da un lato trasferisce il ribellismo del padre sulla generazione successiva (il figlio smania di impugnare la pistola nonostante i divieti paterni), dall’altro rende Billy un comune cow-boy che però guarda al proprio passato come a un’eredità da cancellare, rinnegare e tenere nascosta. La demitizzazione dell’outlow hero, iniziata con Arthur Penn è, si può dire, completa e consapevole. In "Furia selvaggia - Billy the Kid" (1958), il protagonista soffriva per la mancanza di una vera figura paterna di riferimento, tanto da essere in balia di pulsioni che offuscavano la sua aura di giustiziere. Rispetto all’epoca della beat generation, che faceva soprattutto dello scontro ideologico generazionale un tema cardine che investiva tutta la società americana, ancora più tormentato è il protagonista di "Pat Garrett e Billy the Kid" di Sam Packinpah (1973): qui è l’incapacità di adeguarsi a un mondo profondamente cambiato che porta Billy a morire, tradito da Garrett, più adattivo ma anche meno idealista. Ponciroli, dilatando la biografia di Billy e introducendo il rapporto col figlio, rovescia in modo copernicano la sua Weltanschaung; da padre è come transitato nell’altra barricata: tenta quindi di preservare il figlio dagli errori nei quali lui stesso è incappato. Il confronto con l’adolescente, che dunque diventerebbe diegeticamente centrale nel film, anche perché oltre al cognato Al che vive poco distante i due sono a tutti gli effetti ai margini della comunità western, è purtroppo poco approfondito dalle scelte di sceneggiatura. Un’occasione persa, probabilmente, per scavare (o costruire!) su questo versante del mito di Billy the Kid. 

Ponciroli, soprattutto nella seconda parte del film preferisce invece rifugiarsi in una comfort zone, con una spruzzatina di thriller (a chiedersi chi sia Old Henry è anche il figlio, non solo gli sconosciuti) e un tocco di gore nel finale, favorito dalle camicie di colore chiaro dei duellanti. Anche l’assenza di Pat Garrett dà a questo western un sapore diverso: mancando il tema dell’amicizia tradita, ed essendo questa sostituita dalla pura necessità di difendersi, il ricorso alla violenza diviene più meccanico, meno sentito e coinvolgente rispetto a quanto avviene nel film di Peckinpah e in quelli precedenti. La figura dello sceriffo, costantemente presente nella saga di Billy the Kid assume in "Old Henry" una nuova veste. Qui gli sceriffi sono due: quello che viene soccorso e ospitato da Billy e quello che si presenta alla porta della fattoria con i suoi sgherri. Tutto ciò determina una sensazione di incertezza e ambiguità; ma c’è soprattutto uno svuotamento di quella figura rispetto al canovaccio tradizionale: il fatto che ci siano in giro dei falsi sceriffi demolisce lo schema oppositivo, binario, che imponeva allo spettatore del film degli interrogativi sul rapporto tra stato (sceriffo) e individuo (outlow hero), come avveniva per esempio ne "Lo sceriffo senza pistola" (1954) di Michael Curtiz. Mentre il Billy della tradizione doveva in base a uno schema etico cogente dimostrare continuamente di essere all’altezza della propria fama, quello di Ponciroli fa di tutto per nascondere le proprie virtù di pistolero: egli è come Odisseo celato sotto i cenci del mendicante, imbelle all’apparenza, ma pronto a balzare in piedi al momento opportuno. La sua vera anima, quella romantica, che si sacrifica questa volta per preservare il figlio e il cognato, emerge nello shootout finale.

Tra i pregi del regista e sceneggiatore, l’attitudine a disseminare nel testo filmico tutta una serie di riferimenti diretti e indiretti alle precedenti pellicole dedicate al protagonista, ma non solo. La gara “a colpi di citazioni” bibliche tra padre e figlio, ad esempio, è come una prosecuzione di "Young Guns – Giovani pistole" (1988) di Christopher Cain, dove Tunstall consiglia a Billy di darsi alla lettura per stare al passo coi tempi. Allo stesso modo, le ultime parole del protagonista rivolte al figlio sul fatto che “I tempi stanno cambiando” echeggiano quelle che Peckinpah fa pronunciare a Billy nel proprio film. Anche le musiche, inoltre, possono essere considerate un riferimento al passato: il violoncello che gracchia lugubre come un’upupa richiama la "puzza di morte" che, secondo il Pat Garrett di "Chisum" (1970) aleggia su Billy. In verità il citazionismo di Ponciroli guarda anche a pellicole di altre saghe del western: in primis la scelta del nome Wyatt imposto al figlio di Billy, chiaro rimando all’intramontabile "Sfida Infernale" di John Ford (1946), o l’inquadratura attraverso la porta dall’interno verso l’esterno della casa, calco di quella presente in "Sentieri selvaggi", sempre di John Ford (1956). A questo riguardo c’è da dire che in "Old Henry" gli spazi esterni, esaltati dai campi lunghi e lunghissimi grazie a una fotografia ineccepibile, non sono meno importanti dei personaggi. Quelli in interni vengono finemente desaturati fino al seppiato quando le lucerne si sostituiscono alla luce naturale.


24/06/2022

Cast e credits

cast:
Tim Blake Nelson, Scott Haze, Gavin Lewis, Trace Adkins, Stephen Dorff, Richard Speight Jr., Max Arciniega, Brad Carter


regia:
Potsy Ponciroli


titolo originale:
Old Henry


distribuzione:
Shout! Studios


durata:
99'


produzione:
Hideout Pictures


sceneggiatura:
Potsy Ponciroli


fotografia:
John Matysiak


scenografie:
Carey Ann Bowen


montaggio:
Jamie Kirkpatrick


costumi:
Brianna Quick


musiche:
Jordan Lehning


Trama
Henry McCarty (in realtà Billy the Kid) conduce un'esistenza lontana dai guai: alleva maiali in una fattoria isolata immersa nella natura cercando di risparmiare al figlio Wyatt gli errori che lui stesso ha compiuto e di cui serba traccia nel corpo e nello spirito. Tutto sembra andare secondo i suoi piani finchè non ritrova un giovane ferito che decide di portare nella fattoria. Questi, che dichiara di essere uno sceriffo, è braccato da una banda di rapinatori senza scrupoli che finiscono inevitabilmente per bussare alla porta di Billy.
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