Ondacinema

recensione di Rudi Capra
5.0/10

Una compagnia con il passato glorioso della Disney meriterebbe un presente migliore. Dopo avere deturpato la saga di Star Wars, si passa all'altalenante filone dei rifacimenti live-action, zeppo di titoli non esattamente memorabili ("Maleficent", "La bella e la bestia", "Dumbo", ecc).

Ma andiamo con ordine. Quando le dimissioni del guru Jeffrey Katzenberg (poi fondatore e supervisore capo di DreamWorks), avviano la "Disney Renaissance" (1989-1999) sul viale del tramonto, nasce proprio nello stesso anno (1994) il primo remake live-action di un classico d’animazione, "Mowgli – Il libro della giungla" (Sommers). Tuttavia il giacimento inizia a essere sfruttato intensamente solo a partire dagli anni ’10 del nuovo millennio. La formula è semplice: prendi un classico, affidalo a un nome importante (Branagh, Burton, Stromberg), gira e incassa. Un'operazione che assomiglia a quelle partite di calcio tra vecchie glorie in cui gli ex-calciatori, desiderosi di rivivere i bei tempi andati, riescono solo a farli rimpiangere. Tuttavia, in alcuni casi ("Alice in Wonderland") il soggetto originale viene almeno sviluppato e arricchito; in altri viene pedissequamente ricalcato. "Aladdin" di Guy Ritchie appartiene alla seconda categoria.

E ora si potrebbe parlare del film, se non fosse che ben poco rimane da dire. Rimpolpata l’ossatura con una brancata di nuove gag, coreografie, canzoncine e tanta, tanta, tanta computergrafica (spicca il grazioso alterco con il pappagallo gigante), il nuovo (si fa per dire) "Aladdin" duplica il vecchio, riuscendo pure nel difficile compito di insipidire il personaggio più carismatico della saga, il fosco Jafar. L’attore designato, Marwan Kenzari, appare troppo giovane e non troppo portato nei panni dell’intrigante Gran Visir. A dirla tutta, per quanto concerne la recitazione il cast suscita più di una perplessità – eccetto Will Smith, a suo agio nel ruolo eclettico e brioso che fu di Robin Williams (Gigi Proietti nella versione italiana). Comunque si tratta di un musical, genere in cui smorfie da cicisbeo e la dirompente teatralità hanno legittima cittadinanza.

Anche l’apolide regia di Guy Ritchie si muove a fatica nella medina di Agrabah, straripando a balzi e zompi nelle scene d’azione, tra ripidi slow-motion e carrellate vorticose. Più adatti a inseguimenti e sparatorie che a balletti e cortei, i virtuosismi del regista inglese funzionano a mezzo servizio. Imbastito di effettacci digitali, questo "Aladdin" 2.0 è insomma un artificioso esercizio di intrattenimento che ha il difetto di fallire proprio dove riesce l'originale: indurre quel senso di infantile stupore e fiabesca meraviglia, ottenuto attraverso una meticolosa armonia di elementi: il design caricaturale di Al Hirschfeld, ispirato all’alfabeto arabo; la simbologia cromatica, la saturazione degli ambienti, i contrasti luminosi; la vivace ironia dei dialoghi; e ancora la studiatissima e pluripremiata colonna sonora, il taglio anti-tradizionalista dei personaggi, la derivazione pittorica degli scenari, e meglio non dilungarsi. Va bene, il compito era ingrato, ma si poteva far meglio.

Il fatto è che in questa affannata poltiglia di incantesimi e colpi di scena manca la cura amorevole per la storia – e indirettamente, per il pubblico a cui è destinata – ovvero l’ingrediente segreto dei capolavori animati Disney, che questi esanimi remake si sforzano invano di scimmiottare.


26/05/2019

Cast e credits

cast:
Will Smith, Melena Massoud, Naomi Scott, Marwan Kenzari, Navid Negahban


regia:
Guy Ritchie


titolo originale:
Aladdin


distribuzione:
Walt Disney Studios Motion Pictures


durata:
128'


produzione:
Walt Disney Pictures, Rideback, Marc Platt Productions


sceneggiatura:
John August Guy Ritchie


fotografia:
Alan Stewart


scenografie:
Gemma Jackson


montaggio:
James Herbert


costumi:
Michael Wilkinson


musiche:
Alan Menken


Trama
Il ladruncolo Aladdin, innamorato della principessa Jasmine, trova una lampada magica in grado di esaudire tutti i suoi desideri. Basterà?
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