Ondacinema

recensione di Ivan Barbieri
6.0/10

"Forse vuole restare solo"
"Nessuno vuole restare solo!"


Nella semplicità del breve dialogo tra i due fratellini co-protagonisti di "Dumbo" a proposito del comportamento schivo dell'animale si racchiude l'intera carriera di un grande autore come Tim Burton, malinconico esploratore dell'animo cupo e triste degli emarginati sociali. Non stupisce che il cineasta di Burbank sia stato attratto da un outsider come l'elefantino volante di Disney che trasforma il proprio handicap in fattore di successo: le componenti tematiche a lui care da sempre erano già contenute nel film del 1941, si trattava di ripescarle e aggiornarle ai tempi e ai linguaggi odierni (si veda la sfilza di rifacimenti live-action pianificati dalla Walt Disney nelle ultime stagioni) e soggiogarle all'autorità del suo regista. Già protagonista (allora in negativo) di questo "nuovo" filone Disney (aveva girato "Alice in Wonderland"), Burton questa volta opta per un completo stravolgimento della storia come la avevamo conosciuta nel cartone.

Florida, 1919. Al circo dei Medici nasce un elefantino dalle grandi orecchie, sotto gli occhi attoniti del direttore Max (Danny DeVito) che vedono in lui un investimento finito male. La goffaggine dell'animale conquista immediatamente la tenerezza di Holt (Colin Farrell), reduce di guerra, e dei suoi figlioletti Milly e Joe, da poco rimasti orfani della madre. Quando questi scoprono la straordinaria abilità dell'animale il circo macina un successo tale da attirare la grande imprenditoria (Michael Keaton) a caccia di novità da offrire in pasto alle platee. I nostri verranno quindi catapultati a Coney Island nella dorata Dreamland, dove Dumbo scoprirà che la madre è detenuta in catene.

Come commentare questa ennesima collaborazione tra il regista di capolavori come "La sposa cadavere" e la casa che lo lanciò ai tempi di "Red e Toby nemiciamici"? Innanzitutto dicendo che "Dumbo" si suddivide idealmente in due tempi molto diversi tra loro, sia nel registro che nei contenuti estetici e tematici.
La prima parte inizia con una serie di passi falsi piuttosto lampanti, messi in risalto dalla sceneggiatura didascalica e sbrigativa di Eheren Krueger, fedelissimo della saga di "Transformers". L'ambientazione apatica e sfatta (siamo in un'America che cerca di scrollarsi di dosso le scorie lasciate in dote dalla Grande Guerra), nella quale Burton probabilmente riflette un presente economico parimenti sconfortante, si discosta con coraggio dalle atmosfere cupe e febbrili del classico Disney (si riveda l'incipit del cartone animato), ma i personaggi e i loro attori appaiono fuori luogo e fuori ruolo, messi in scena con un certo pressapochismo. Come non notare la tiepida accoglienza riservata al reduce di Farrell in occasione del suo ritorno da parte di amici e colleghi? O come giustificare la rigidità nei volti e nelle movenze dei due giovanissimi interpreti nei momenti rivelatori del talento di Dumbo? E si potrebbe continuare... Visivamente Burton sembra avere le polveri bagnate: manca l'atmosfera magica e malinconica che ha reso i suoi film immediatamente identificabili e il susseguirsi degli eventi viene mostrato con una piattezza che omologa "Dumbo" ad un blockbuster qualunque. Nemmeno il colorato mondo circense stimola l'inventiva del cineasta ("non mi piace il circo"), che prova a rifarsi in una seconda parte più coraggiosa.
E difatti l'ultima ora si apre con una repentina virata. La vendita del circo ad un potente imprenditore che vuole "rendere possibile l'impossibile" (Michael Keaton) conduce il film in luoghi spettacolari e sinistri. "Dumbo" cambia strada e diventa un film su Hollywood, con uno sguardo che si fa ambiguo, riflettendo il rapporto difficile che Burton ha intrattenuto con i grandi studi cinematografici, in particolare proprio con la casa di Topolino ("Io e la Disney non ci siamo mai capiti", si legge nella sua autobiografia). I tributi all'originale toccano il vertice con la sequenza degli elefantini rosa, nella quale Danny Elfman dà il meglio di sé, ma è chiaro che il film vada oltre l'aggiornamento. Infatti nel finale "Dumbo" diventa un action catastrofico, in una delle traiettorie più care al cinema di Tim Burton: il microcosmo del film collassa e va a fuoco, il singolo emerge in una rivincita pacifica eppure distruttiva, intimamente rivoluzionaria. Burton ormai è lontanissimo dal cartone e si riappropria di un immaginario macabro (Nighmare Island), mentre i riferimenti a "E.T." (da nave ad astronave il passo è breve) e "King Kong" (di cui l'elefantino ricalca il percorso narrativo al contrario) sintonizzano il "Dumbo" 2019 sulle frequenze di una favola ecologista scontata, ma non ipocrita e se non altro necessaria.

Difficile comunque parlare del film in termini entusiastici, se non altro perché le buone intenzioni rimangono tali. La principale novità rispetto all'originale è l'inserimento di un cast umano rappresentato da volti noti dello spettacolo, tra premi Oscar e habitué del regista: eppure, anche leggendo in Dumbo la metafora della perdita subita da Holt e figli (nel ricongiungimento tra i due elefanti i bambini cercano di esorcizzare i fantasmi di una ri-unione che per loro non potrà mai aver luogo), si resta delusi per la superficialità con cui vengono trattate le psicologie dei vari personaggi. Soprattutto quella di Milly, che Burton, in un finale quanto mai eloquente, eleggerà sua alter ego; ma anche di Holt, il cui rapporto con i figli e la cui attrazione per la bellissima Colette (Eva Green) sono appena accennati da uno dei volti più malinconici del cinema mainstream, quello di Colin Farrell.

Quello di "Dumbo" è quindi un Burton minore, male assistito in sede di sceneggiatura e probabilmente frenato dalle direttive Disney. Eppure qualche elemento che valga la visione lo regala anche questa volta. In una tipica tenda da circo i bambini nutrono dei topolini bianchi; questi sono custoditi in una piccola gabbia che rievoca la forma appuntita dello stesso tendone in cui la scena è ambientata, producendo un gioco di echi raffinato e significativo, che si riflette dal grande al piccolo e viceversa: per Burton siamo tutti in gabbia, ma a volte basta una piuma per prendere il volo.


27/03/2019

Cast e credits

cast:
Michael Keaton, Eva Green, Danny DeVito, Colin Farrell, Alan Arkin


regia:
Tim Burton


distribuzione:
Walt Disney Pictures


durata:
130'


produzione:
Justin Springer, Ehren Kruger, Katterli Frauenfelder, Derek Frey


sceneggiatura:
Ehren Kruger


fotografia:
Ben Davis


scenografie:
Rick Heinrichs


montaggio:
Chris Lebenzon


costumi:
Colleen Atwood


musiche:
Danny Elfman


Trama
Dumbo ha un "difetto" evidente fin dalla nascita: le sue orecchie sproporzionate lo rendono oggetto di scherno e lo condannano ad una vita da freak. Almeno finché nuovi amici non lo aiuteranno a spiccare il volo.