Ondacinema

recensione di Gabriele Nanni
7.5/10

Si dice che la Pixar Animation Studios faccia fatica a lasciarsi alle spalle quella crisi creativa e produttiva che, da qualche tempo a questa parte, sembra caratterizzare le sue ultime uscite.
Complici la pandemia da Covid19, la valorizzazione della distribuzione in streaming rispetto a quella in sala e alcune sue pellicole non esattamente memorabili degli anni immediatamente successivi - una su tutte, “Lightyear – La vera storia di Buzz” - pare che ultimamente la “sorella minore” della Disney non riesca a dare adeguatamente lustro a lungometraggi originali, ma punti piuttosto ai guadagni assicurati dei sequel/prequel di sue opere del passato.

A conferma di ciò, è emblematico considerare come “Elio”, al momento in cui viene scritta questa recensione, registri, in termini di guadagni, il record di peggior debutto per un film Pixar mentre “Inside Out 2”, uscito nelle sale appena un anno prima, sia stato il caso cinematografico del 2024 risultando l’incasso maggiore di tutta l’annata trascorsa.
Lungi dal considerare i successi di botteghino di una pellicola l’unico metro di giudizio per valutare la sua qualità, una domanda sorge comunque spontanea: la ventinovesima fatica Pixar è davvero così terribile? Per chi scrive, la risposta è decisamente negativa, e un così basso interesse suscitato nei confronti del grande pubblico è spiegabile, forse, in prima battuta con il partire prevenuto da parte di quest’ultimo e in secondo luogo dalla scarsità della campagna promozionale che ha accompagnato l’uscita del lungometraggio nei cinema.


Debiti di forma

Da un punto di vista squisitamente estetico e stilistico, “Elio” è debitore soprattutto verso due universi disneyani: quello di “Strange World – Un mondo misterioso” e quello di “Monsters & Co./Monsters University”.

Dal primo viene ripreso il character design dei vari mostri e creature, qui alieni ed extra-terrestri, che si incontrano nel corso della narrazione, a cominciare proprio dalle loro forme morbide e rotondeggianti, per arrivare alle bizzarre modalità che questi hanno di interagire con il protagonista. Se ad Avalonia si possono trovare infatti lumaconi carnivori, mante volanti oppure blob amichevoli, nel Comuniverso (sorta di concilio spaziale interrazziale che riunisce tutti gli esseri più disparati sparsi per l’Universo) trovano posto platelminti dalla percezione extrasensoriale, organismi rocciosi senzienti e super-computer pseudo-antropomorfi.

Da “Strange World” viene quindi ripresa la creatività nel processo di world building, qui aggiornato a una maggiore ibridazione con la tecnologia essendo, visti i temi trattati, nel pieno territorio della fantascienza. Rispetto al sessantunesimo classico Disney, però, si fa evolvere la componente fantastica, omogenea e coerente di Avalonia in una fantascientifica, eterogenea e a tratti incoerente manifestazione delle infinite potenzialità del Cosmo, riassunte efficacemente nel Comuniverso che non a caso appare come un’enorme navicella spaziale a forma di galassia.

Dall’accoppiata “Monsters & Co./Monsters University” viene invece ripresa la presenza in alcune scene dell’elemento horror, che i due capitoli di casa Pixar in questione avevano saputo efficacemente fondere a un’estetica dai colori accesi e “da peluche” dei mostri stessi. Si pensi, ad esempio, al pelo cotonato blu e viola di Sulley o all’accomodante forma sferica del corpo di Mike. Questa contaminazione viene riproposta anche in “Elio”: si può quindi assistere a scene in cui i dispositivi elettronici sembrano prendere vita stampando a schermo scritte deformi in stile Captcha, oppure ombre si allungano nelle camere da letto di bambini addormentati (forse la citazione-omaggio più diretta e letterale alla saga di “Monsters & Co.”) e ancora feticci in stile zombie corrono verso persone terrorizzate. Da un punto di vista formale, allora, si può concludere che in “Elio” l’ispirazione a “Strange World” rappresenta la quota-parte destinata al pubblico dei più giovani, mentre i riferimenti horrorifici si rivolgono invece a quella più adulta, secondo quel perfetto paradigma pixariano che prevede di inserire, all’interno di pellicole pensate principalmente per bambini, spunti d'interesse anche per i cosiddetti “grandi”.


Debiti di contenuto

Da un punto di vista contenutistico, invece, altre due sono le principali ispirazioni di “Elio”, di nuovo una che si rivolge principalmente ai bambini e l’altra soprattutto agli adulti: “Red” e la saga di “Evangelion”. La prima è sicuramente la più immediata da cogliere, condividendo con il ventinovesimo film Pixar parte della regia. Domee Shi viene infatti affiancata dalla coppia di esordienti Madeline Sharafian e Adrian Molina dietro la macchina da presa di “Elio”, avendo le due registe lavorato insieme al progetto “Red” e Molina collaborato con Sharafian ai lavori per “Coco”. Vengono ripresi in particolare due temi portanti di “Red”, anche se questi, come si vedrà, sono sviscerati all’interno di “Elio” in maniera parzialmente differente: quello del “Doppio” e quello delle difficoltà di comunicazione tra bambini e adulti.

[SEGUONO DA QUI IN AVANTI SPOILER]

Il primo viene introdotto quando all’omonimo protagonista della pellicola è offerta la possibilità di farsi sostituire sulla Terra da un suo clone a lui geneticamente identico, ma dalla personalità programmabile a comando vocale, nel mentre che il bambino progetta di stabilirsi per sempre nel Comuniverso. Elio, che infatti desidera abbandonare il pianeta natale a causa dell’inconscia sofferenza per la morte dei genitori, accetta di buon grado, ma la sua versione “nuova” si rivela essere “migliore” di quella originale, tale che sua zia sospetta fin da subito di un potenziale inganno e indagando finisce per scoprirlo. Elio ha così l’occasione di confrontarsi per la prima vera volta con lei, e in quella che, pur non essendo la scena finale, è forse la più toccante del film, le rivela di sentirsi solo, esattamente come sola si sente sua zia per averlo creduto perso per sempre nello spazio profondo.

Zia Olga infatti, al momento della morte di sua sorella e suo cognato è una donna single, in carriera nella divisione aero-spaziale dell’esercito, e si ritrova di punto in bianco a dover accudire Elio senza riuscirci come vorrebbe a causa del tempo che il lavoro le richiede. Quando i due si dichiarano apertamente la loro solitudine, quindi, finalmente trovano un terreno comune sul quale empatizzare nei confronti dell’altro, terreno fino a quel momento precluso alla coppia dalla difficoltà nel capire reciprocamente le rispettive paure e sofferenze. Da un lato, infatti, Elio ha perduto i genitori, e per via della sua età non ha ancora acquisito le capacità necessarie per superare autonomamente momenti così difficili, sentendosi quindi perso. Dall’altro però zia Olga rischia di veder frantumarsi per sempre la possibilità di realizzare il sogno di andare nello Spazio proprio a causa della brusca entrata di Elio nella sua vita. E’ unicamente superando la paura di aprirsi vicendevolmente il proprio cuore che i due riescono infine a trovare il modo di comprendersi e accettare la sofferenza della loro (nuova) vita. Se quindi in “Red” Meilin accoglie il suo Doppio scoprendo come sfruttarlo per portare felicità alla sua esistenza e a quella altrui, e così crescere, Elio invece sfrutta il suo clone come sostituto, per rifiutare l’esistenza e fuggire da essa nella speranza di farsene una nuova nel Comuniverso. Entrambi i protagonisti abbracciano in seguito anche i loro lati oscuri, ma per Meilin questo si traduce nel diventare Yang per il proprio Yin, entrambi parti integranti di sé, mentre per Elio nel sacrificare la sua versione clonata per valorizzare quella originale, il suo vero Io, superando nel farlo le barriere di comunicabilità nei confronti della zia.

L’altra grande ispirazione alla base della filosofia di “Elio” si diceva essere “Evangelion”, a cominciare proprio dal motivo che spinge il protagonista del film Pixar a voler abbandonare la Terra per poter vivere tra gli alieni, ovvero la paura di soffrire. Elio infatti, come Shinji, passa la maggior parte del suo tempo da solo, limitando il più possibile i contatti con gli altri e usando l’autocommiserazione come scusa per credere di non potere veramente agire per migliorare la sua situazione. Ad un certo punto egli confessa a un nuovo e inaspettato amico di sentirsi “sbagliato”: l’amico in questione è Glordon, bambino anche lui ma non umano, bensì “hylurgiano”, ovvero di una specie aliena vermiforme il cui popolo di appartenenza ha alle spalle una cultura fortemente militare e improntata all’uso della forza per la conquista di nuovi pianeti. In tal senso, gli abitanti del pianeta Hylurg ricordano molto gli Harkonnen di “Dune”, con tanto di riti e canti tribali propiziatori e/o di celebrazione per avvenimenti importanti. Ebbene, padre di Glordon è Lord Grigon, ovvero il capo di Hylurg, che, in assenza di sua moglie poiché impegnata nelle non meglio precisate “Guerre di Sangue”, si prende cura come può di Glordon.

Il rapporto tra i due è disfunzionale: Lord Grigon vorrebbe che suo figlio lo seguisse nelle sue campagne militari e sviluppasse passione e abilità nell’uccidere nemici e conquistare altri popoli, ma Glordon si rifiuta, poiché di indole sensibile e non incline alla violenza. La loro relazione ricorda molto quindi quella che intercorre tra Shinji e suo padre Gendo. Entrambe le coppie genitore-figlio, infatti, soffrono la mancanza di una figura materna a supporto: Yui, la madre di Shinji, è defunta mentre quella di Glordon è semplicemente lontana. Inoltre, entrambi i padri forzano i rispettivi fragili figli a combattere per cause che loro non sentono come proprie e sia Gendo che Grigon sembrano provare un malcelato disprezzo nei confronti della prole. Il parallelismo si fa ancora più evidente quando, ad un certo punto in “Elio”, viene detto che ogni hylurgiano che si rispetti non si separa mai dal suo “Carapace”, una corazza bellica rinforzata dotata di ogni genere di arma, poiché altrimenti rischierebbe di apparire debole. Durante il film Lord Grigon vorrebbe far indossare il Carapace a Glordon organizzando per l’occasione una cerimonia solenne, ma quest’ultimo si rifiuta con le seguenti, testuali parole: “Non voglio entrare nel Carapace!”, che suonano estremamente simili a quelle che pronuncia Shinji in “Evangelion” (“Non voglio salire sull’Eva!”). O ancora, nel momento del climax del film, Glordon si ritrova al cospetto di Lord Grigon fra la vita e la morte, e quest’ultimo non esita ad aprirsi un varco nel carapace per poter avvolgere il figlio all’interno di un bozzolo filamentoso prodotto con la sua stessa bava - gli hylurgiani in questo senso ricordano molto i bachi da seta. Anche qui il rimando al magnus opus di Hideaki Anno è evidente: fuor di metafora, Lord Grigon apre uno squarcio all’interno delle mura della sua anima, del suo A. T. Field, per mostrare al figlio la sua vera interiorità e così finalmente instaurare un dialogo con lui.


Verso l’infinito e oltre

In conclusione, quindi, si può affermare come “Elio” sia solo apparentemente una storia di alieni, quando invece a venire rappresentata a schermo è soprattutto una vicenda di alienazione. La pellicola gioca saggiamente sulla linguistica della radice “alien-”, per poter inscenare sì una trama di mondi e creature extraterrestri, ma che in profondità risulta essere estremamente umana.

A conferma di ciò, a inizio e fine film, prima dei titoli di testa e di coda, vengono lette alcune parole tratte da un’intervista all’astronomo statunitense Carl Sagan, che culminano nella più nebulosa e suggestiva delle domande: “Siamo soli nell’Universo?”. In “Elio”, quindi, è chiaro come queste parole non si riferiscano ad altre specie o galassie lontane, bensì all’Essere Umano stesso, che nel suo processo di esistenza su questa Terra arriva a chiedersi se mai riuscirà ad entrare in contatto con l’intimità dei suoi simili e il pianeta che ciascuno di loro porta con sé. Forse prima di rivolgere lo sguardo alle stelle e desiderare di raggiungerle dobbiamo imparare a guardare dentro di noi innanzitutto, e dentro tutte le miriadi di forme di vita che popolano il nostro pianeta. Una volta che riusciremo a farlo, forse saremo anche in grado di affacciarci al vuoto cosmico ed esistenziale senza sentirci troppo infinitesimali rispetto ad esso, ed è a quel punto che, prendendoci per mano con lo sguardo rivolto al cielo, forse potremo dire senza paura alcuna: “Verso l’infinito e oltre”.


29/06/2025

Cast e credits

cast:
Yonas Kibreab, Zoe Saldana, Remy Edgerly, Brandon Moon, Brad Garrett, Jameela Jamil, Young Dylan, Jake T. Getman


regia:
Adrian Molina, Madeline Sharafian, Domee Shi


titolo originale:
Elio


distribuzione:
Walt Disney Studios Motion Pictures


durata:
98'


produzione:
Pixar Animation Studios


sceneggiatura:
Julia Cho, Mark Hammer, Mike Jones


fotografia:
Matt Aspbury, Danielle Feinberg


scenografie:
Harley Jessup


montaggio:
Anna Wolitzky, Steve Bloom


musiche:
Rob Simonsen


Trama
Elio, bambino fanatico dello Spazio e con una fervida immaginazione, si ritrova in una disavventura cosmica nella quale deve formare nuovi legami con eccentriche forme di vita aliene, affrontare una crisi di proporzioni intergalattiche e scoprire in qualche modo chi è destinato ad essere veramente.