fantascienza, commedia, monster movie | Usa/Regno Unito (2025)
C'è tutto Bong Joon-ho in "Mickey 17": c'è il monster movie e c’è la fantascienza (e più in generale il cinema di genere), ci sono l'umorismo e i toni grotteschi, l'analisi sociale e quella del potere.
C'è tutto Bong e non c'è nulla di Bong: il genere sembra relegato a sterile contenitore più che issato a motore della messa in scena; lo humour è spuntato e talvolta addirittura banale; il tono grottesco è già reso obsoleto da una deriva della realtà che supera ampiamente ogni tentativo di parodia nell'ambito della finzione. E poi non c'è l'analisi sociale ficcante di "Parasite" o la critica del potere velata ma efficacissima di "Memories of Murder"; soprattutto sembrano perdere gran parte della loro importanza gli spazi, le geometrie e lo stesso ruolo dell'immagine, accantonata a favore di una voce narrante invadente e prolissa.
In un futuro abbastanza prossimo, siamo nel 2054, per fuggire ad alcuni creditori Mickey Barnes si offre come volontario per una colonia extraterrestre in una missione agli ordini dell’eccentrico Kenneth Marshall, già candidato alle elezioni presidenziali e due volte sconfitto. Ciò che rende la missione di Mickey piuttosto particolare, pure nel contesto di una colonizzazione spaziale che si intuisce ben avviata, è il fatto di essersi offerto come expendable (sacrificabile), ossia, sostanzialmente, come cavia e carne da macello per esperimenti di vario genere, con la promessa di un ritorno in vita a ogni trapasso grazie a una tecnologia avveniristica analoga alla clonazione, ma di fatto del tutto simile a una stampante 2d/3d.
La trama del film, come si evince da questi brevi cenni, è tutt’altro che originale, trattando questioni, temi e situazioni più volte affrontati dalla fantascienza classica o moderna (alcuni dei casi più celebri, restando in questo secolo, sono "Moon" di Duncan Jones e "Edge of Tomorrow" di Doug Liman).
Tratta dal romanzo "Mickey7" di Edward Ashton, la sceneggiatura mescola, come detto, vari generi e filoni, con una predominanza della fantascienza e del sottogenere trasversale (alla stessa fantascienza, all’horror e al fantasy) del monster movie, entrambi già utilizzati da Bong in precedenti opere ("Snowpiercer" e "The Host") e che in "Mickey 17" si vanno a intrecciare alla commedia.
Qui il mostro diventa una mera funzione narrativa, volta a dimostrare la disumanità dell’uomo in rapporto alla clemenza di colui che dovrebbe essere abietto in quanto ripugnante (in lingua originale le creature vengono chiamate creepers, un termine che richiama la parola creepy che significa raccapricciante, orrendo). Il vero mostro è l’uomo, in buona sostanza, o ancor più precisamente è l’uomo che detiene il potere (politico ed economico), che genera esseri sacrificabili sull’altare di un presunto progresso e di un sicuro interesse, ovviamente pescandoli tra gli ultimi della società. E che si arroga il diritto di sterminare gli esseri autoctoni dei luoghi che intende colonizzare. Per quest’ultimo aspetto i riferimenti chiaramente abbondano, a partire dalla storia americana e dalla questione dei pellerossa, su cui è stato fondato un intero genere cinematografico: in tale ottica, "Mickey 17" può essere addirittura accostato al western revisionista degli anni Settanta, visto che sia il protagonista, sia diversi altri membri della spedizione finiscono per abbracciare la causa dei nativi.
Il cinema ha già fornito esempi di expendables, legati per lo più al perimetro bellico o comunque militarista (da "I sacrificati di Bataan" di John Ford a "I mercenari" di Sylvester Stallone). Qui il tema del sacrificio si ricollega invece a un discorso di sfruttamento capitalistico del lavoratore, mediante vere e proprie cavie umane. Eppure, il tema del lavoro - che ben avrebbe potuto costituire il fondamento di un adattamento futuristico di "Tempi moderni" di Charlie Chaplin - resta sempre in superficie e anzi lo humour di cui sono infarcite le varie morti del protagonista, che criticano soltanto incidentalmente la miopia e il cinismo della speculazione plutocratica (come avveniva in Chaplin), sono forse addirittura un po’ irrispettose verso un tema da noi - e non soltanto - sempre di drammatica attualità come quello delle morti sul lavoro.
Passando alla questione del potere, si è già anticipato in premessa come "Mickey 17" non raggiunga le vette di velata critica che Bong aveva saputo convogliare in "Memories of Murder", in cui era riuscito a calare il contesto dittatoriale della Corea del Sud della prima parte degli anni Ottanta in una storia e in personaggi circoscritti ad ambiti e ambienti piuttosto delimitati. Qui il potere è fatto oggetto di una parodia dai toni grotteschi e macchiettistici, con il ricorso al personaggio di Kenneth Marshall (interpretato con il giusto piglio da Mark Ruffalo) che pare un incrocio ante litteram della liaison tra Donald Trump e Elon Musk. Ante litteram perché il film è stato girato nel 2022, quindi ben prima che il miliardario di origine sudafricana abbracciasse in maniera pressoché totale la causa dell’immobiliarista già ex presidente dal 2016 al 2020.
Il riferimento al personaggio sconfitto che se ne va nello spazio per cercare la rivincita perde dunque di efficacia, almeno oggi, mentre ben si prestava a una parodia di Trump nel 2022, anno delle riprese. Oggi, come ci insegna l’attualità, una metà del mondo si fa orgoglio delle parodie che l’altra metà del mondo prova a rivolgergli. La satira grottesca non funziona più, sembra dirci la cronaca, almeno dopo il recente episodio del video AI-generated relativo a una futuribile nuova Gaza, nato come oggetto di sberleffo e diventato una medaglia da appuntarsi al petto da chi evidentemente riesce a trovare strumenti di propaganda pure nella parodia personale.
Ciò in cui invece "Mickey 17" assume i caratteri della profezia (sempre considerato il fatto che il film è stato girato tra l’agosto e il dicembre 2022) è la scena del tentato omicidio di Marshall, che per le dinamiche e per la reazione di quest’ultimo richiama l’attentato a Trump del luglio 2024 di Butler, Pennsylvania.
La critica sociale è parimenti spuntata, facendosi forte di gag che vanno in direzione diametralmente opposta a quella di "Parasite": in quest’ultimo i poveri erano tali per condizione o comunque per meccanismi sociali che li avevano esclusi dalla ricchezza (le dinamiche del mercato del lavoro in primis); in "Mickey 17" il protagonista ricalca invece il modello decisamente più americano del loser, del fallito per sua colpa (del resto, se apri una rivendita di macarons pensando che possa rendere più di un fast food, poi non puoi lamentarti se non riesci a rimborsare i creditori!). Un loser, però, del tutto sbalestrato, disilluso e sconclusionato, quasi un character da fumetto interpretato egregiamente da Robert Pattinson, anche se è proprio il personaggio in sé a non convincere del tutto. Poco rileva che nei momenti della convivenza tra il 17esimo e il 18esimo Mickey il protagonista assuma varie sfaccettature caratteriali, introducendo il tema del doppio, peraltro ben poco familiare al cinema di Bong.
Insomma, Mickey 17 pare un’operazione complessivamente non riuscita e non all’altezza del miglior Bong (e nemmeno del Bong prodotto fuori dalla Corea). Pare il classico caso di un regista che, raggiunto l’apice del riconoscimento internazionale, artistico e non solo, riceve carta bianca e di fatto si perde - complice anche un budget di quelli considerevoli, ben 120 milioni di dollari - in scelte ed elucubrazioni che evidentemente avevano senso soltanto sulla carta. La maestria nella messa in scena e nel controllo della regia, invece, Bong non la perde, da buon affezionato dello storyboard e di altre tecniche e metodi, come l’editing on set, che sicuramente riducono i rischi in post-produzione. È grazie a questa indiscutibile maestria che il film riesce tutto sommato a galleggiare fino all’epilogo, dopo una partenza che però lasciava presagire ben altro sviluppo.
cast:
Robert Pattinson, Naomi Ackie, Steven Yeun, Toni Collette, Mark Ruffalo
regia:
Bong Joon-Ho
distribuzione:
Warner Bros. Pictures
durata:
139'
produzione:
Warner Bros. Pictures, Plan B Entertainment, Offscreen, Kate Street Picture Company
sceneggiatura:
Bong Joon-ho
fotografia:
Darius Khondji
scenografie:
Fiona Crombie
montaggio:
Yang Jin-mo
costumi:
Catherine George
musiche:
Jung Jae-il