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Chiudendo un notevole trittico di serie arrivate in pochi mesi su Sky, con "L'arte della gioia" Valeria Golino, co-sceneggiatrice e regista, adatta la prima parte dell'omonimo romanzo di Goliarda Sapienza, puntando sul carattere ambiguo e prorompente della protagonista, che incarna ideali senza diventare modello, e su diverse influenze cinematografiche

[Seguono, inevitabilmente, SPOILER]

Dopo un breve passaggio in sala nell’estate 2024, tra febbraio/marzo dell’anno successivo "L’arte della gioia" è andata in onda su Sky/NOW (dove è ancora disponibile), chiudendo, dopo "Dostoevskij" e "M – Il figlio del secolo", un notevole trittico di serie italiane arrivate in pochi mesi sull’emittente. La fonte de "L’arte della gioia" è la prima parte del romanzo omonimo di Goliarda Sapienza, scritto nel 1976 ma pubblicato integramente e postumo solo nel 1998, a causa principalmente di una protagonista ritenuta troppo scomoda. Un tratto che, quasi trent’anni dopo, è forse ancora più accentuato e pregnante, come ha intuito Valeria Golino, co-sceneggiatrice e regista di cinque episodi (su sei complessivi) che nella trasposizione punta decisamente su quest’aspetto, fondendo nel materiale di partenza diversi richiami e influenze cinematografici (coincidenza o meno, proprio Golino è stata scelta per interpretare Sapienza in "Fuori", biopic dedicato all’autrice diretto da Mario Martone che a breve sarà presentato al Festival di Cannes 2025).

Riprendendo la suddivisione in blocchi da due episodi con cui la serie è stata originariamente trasmessa in televisione, andremo dunque ora a analizzarli, seguendo queste coordinate e ripercorrendo gli snodi principali della trama. A monte, tra i punti di riferimento citiamo "Miele", lungometraggio d’esordio dietro la macchina da presa per Golino. Nel film del 2013, Jasmine Trinca interpreta una trentenne che aiuta segretamente i malati terminali con l'eutanasia. Come Modesta, protagonista di "L’arte della gioia", si tratta di un personaggio dalla moralità e dagli intenti grigi, che la regista, senza limarne le asperità, invita ad accogliere senza giudicare.

Ad aprire la serie, due immagini chiave. La piccola Modesta che corre nei campi, inquadrata di spalle con la macchina che resta fissa mentre lei si allontana, trasmettendo la sua inafferrabilità. La stessa protagonista, divenuta ragazza, che, parlando direttamente al pubblico, sostiene di "aver sempre rubato la propria parte di gioia". La rottura della quarta parete, sfruttata con frequenza da tutti gli episodi, entra (involontariamente) in dialettica con "M": in entrambe le serie il protagonista cerca di portare dalla propria parte il pubblico, giustificando le proprie malefatte. Se però nella serie su Mussolini era evidente la presa di distanza degli autori da quest’ultimo, in "L’arte della gioia" l’appoggio a Modesta è totale e indefesso.

Episodi 1-2: in convento controvento

I primi due episodi sono ambientati nel convento dove Modesta è ospitata dopo la morte della propria famiglia, di umili origini. Attraverso vari flashback, scopriamo che il violento padre naturale, in visita alla madre, l’aveva violentata: poco dopo, la bambina aveva fatto cadere per errore una lampada, causando un grande incendio, del quale erano rimaste vittime l’uomo, la madre e la sorella.

Nelle quattro mura, Modesta mette in mostra il suo carattere indomito, non placato da rimproveri e punizioni. La serie entra dunque in relazione con altre recenti opere nostrane (il lungometraggio "Gloria!" di Margherita Vicario, il corto "Le pupille" di Alice Rohrwacher) che presentano personaggi femminili ribelli in istituti religiosi (conventi/collegi), come elemento di rottura in un microcosmo fortemente irregimentato. Se nei titoli citati questo avviene tramite la scoperta del potere liberatorio della musica, in "L’arte della gioia" si attua invece tramite quella del desiderio e dell’istinto vitale, contrapposti all’ideale di sofferenza e repressione promulgato dalle suore.

Modesta incontra infatti Madre Leonora (Jasmine Trinca) da cui viene difesa e accettata e con cui inizia a confidarsi, fino a scambi affettuosi che quest’ultima rifiuta. Scopre così che anche altre ragazze erano state prese sotto la sua ala e convertite, tra cui una che si era fatta cadere dalla finestra della stanza in cui è lei ora ad alloggiare. "Siamo tutte serve per te" le rinfaccia poi: complice l’ambientazione, siamo dunque vicini a "Benedetta" di Paul Verhoeven. Riprendendo la nostra recensione, ritroviamo "il rapporto tra una ricca e colta donna e una ragazza povera e senza istruzione che conosceva solo la violenza del padre e della famiglia, la religione come strumento di esercizio del potere, il piacere sessuale che prende il posto alla sofferenza della carne come mezzo per raggiungere l'estasi mistica".

Nella serie, però, Modesta, riesce a ribaltare le posizioni iniziali, facendo cadere dalla torre Leonora e mascherando l’accaduto come suicidio. La morte della donna segna il passaggio di testimone tra le due: la protagonista ottiene infatti la possibilità di trasferirsi presso la sua famiglia nobile e benestante della superiora, con al vertice la principessa Gaia Brandiforti (Valeria Bruni Tedeschi) Proprio nella lussuosa villa si ambientano i successivi due episodi, dove, fingendosi ragazza devota e servile, piano piano manipola le persone intorno a lei per ottenere sempre più attenzione e centralità.


Episodi 3-4: nella casa

Le prime immagini dei successivi episodi sono dedicate all’ingresso di Modesta nella grande magione, la cui rappresentazione, che si sofferma sui lati più inquietanti (e le apparizioni del fantasma di Leonora) l’avvicinano ai castelli gotici. Girovagando, Modesta scopre gli anfratti più oscuri dell’abitazione e di chi ci risiede. Di notte, viene attirata dai rumori provenienti da una stanza socchiusa. A differenza della protagonista del "Suspiria" argentiano, porge lo sguardo all’interno e scorge i domestici, tra cui l’autista Rocco (Giuseppe Spata) intenti in divertimenti sfrenati. Prima di essere notata e scappare furtivamente, sul suo volto compare un sorriso compiaciuto: scoperto cosa si nasconde dietro i lustrini, potrà usarlo a proprio vantaggio.

L’atmosfera gotica è inoltre il primo punto di contatto con "Ritratto della giovane in fiamme", film diretto da Céline Sciamma di cui Golino fa parte del cast e che diventa punto di riferimento principale per il ritratto della relazione lesbica tra Modesta e Beatrice (Alma Noce), figlia segreta di Leonora. La regia si sofferma sullo sguardo inizialmente debole di Modesta nello scrutare da lontano Beatrice e poi nell’avvicinarsi a lei. I suoi occhi trasmettono le direttrici di un desiderio che presto trova soddisfazione, in un affaire la cui segretezza e illiceità alimentano la giocosità e la passione adolescenziale. Come Sciamma, Golino preferisce dedicarsi non tanto all’atto sessuale, quanto su quello che lo precede e lo segue, soffermandosi ed esaltando i nudi corpi femminili, non sollecitazione del piacere scopico dello spettatore ma rivendicazione di libera espressione del proprio sé.

Iniziando a gestire gli affari di famiglia con Gaia, Modesta ne guadagna la fiducia, fino a collaborare direttamente con Carmine (Guido Caprino), incaricato di gestire le terre dei Brandiforti. Quest’ultimo scorge poi lei e Beatrice in un momento intimo: per paura di essere scoperta, Modesta si offre spontaneamente all’uomo per frequenti rapporti sessuali. In questo senso, intravediamo un diretto rimando a "Teorema" di Pier Paolo Pasolini. Come l’"ospite" interpretato da Terence Stamp, Modesta è un elemento estraneo che si introduce in una ricca famiglia sconquassandola dall’interno. A differenza di quest’ultimo, il suo obiettivo è ben chiaro ma non lo è altrettanto la sua potenziale bisessualità: la sua relazione con Carmine (come in Pasolini quella tra il personaggio di Stamp e quello di Silvana Mangano) nasce da sincero sentimento o è un mezzo per guadagnare potere (e, nel caso di Modesta, ribaltare i ruoli di gender, vedi il suo fumare la pipa di Carmine)? Ne"L’arte della gioia", la bilancia sembra pendere verso la seconda ipotesi ma l’ambiguità rimane volutamente irrisolta.

Episodi 5-6: pandemia e pandemonio

Nel corso della storia, Modesta scopre la presenza nella casa di Ippolito, il figlio disabile di Gaia e unico vero erede della famiglia. Da una parte, lei dà dignità al ragazzo prima segregato e considerato da tutti un mostro, invitando i personaggi e di riflesso lo spettatore a guardarlo con occhi diverso, in sintonia con la "Parthenope" di Paolo Sorrentino. Allo stesso tempo, unendosi a Ippolito in un matrimonio di convenienza, usa quest’ultimo per diventare ufficialmente parte della famiglia. Quando scopre di essere incinta di Carmine, fa passare il figlio come suo e di Ippolito e dunque come erede maschio della casata, assicurandosi il posto di principessa dopo la morte di Gaia. Senza dimenticare che anche la stessa Beatrice è dalla nascita claudicante (aspetto che le preclude la possibilità di un matrimonio): il sincero affetto che Modesta prova per lei passa in secondo piano quando è il momento di concludere la propria scalata, in un accantonamento concluso da un "riparatorio" rapporto sessuale. Anche nei confronti di emarginati e disabili, la protagonista non perde la propria ambiguità e i suoi sentimenti il velo di opacità.

Narrativamente, gli ultimi episodi sono segnati dalla conclusione della Guerra e dall’irruzione dell’influenza Spagnola, i cui effetti richiamano quanto vissuto durante il Covid, tra mascherine, isolamento forzato e contagio mortale. La malattia segna l’irruzione della Storia nella villa, che prima ne era rimasta fuori, e in maniera inequivocabile il collasso tra passato e presente che scorre sotterraneamente per tutta la serie, che parla di ieri per parlare di oggi, in particolare della condizione femminile. In una scena, Modesta e Gaia, per evitare il contatto fisico, si baciano attraverso un vetro, come Alain Delon e Monica Vitti ne "L’eclissi" di Michelangelo Antonioni. Se quest’ultimi potevano subito dopo superare l’ostacolo e toccarsi realmente, in "L’arte della gioia" solo un movimento di macchina che attraversa il vetro può idealmente unire le due amanti.

Con la morte di Gaia e la nascita del figlio, Modesta diventa dunque ufficialmente principessa e capo della famiglia. Nell’ultimo dialogo con Carmine, pronuncia chiari manifesti d’emancipazione ("Voglio studiare!") che cozzano ancora una volta con il suo carattere e i modi attraverso cui ha raggiunto i propri obiettivi. Fin dall’infanzia, Modesta subisce violenza e causa di riflesso violenza, rifiuta la posizione di vittima per assumere quella di carnefice, incarna ideali esemplari pur rimanendo personaggio non certo esemplare. Tornando in carrozza a Catania, tiene il bambino con Beatrice accanto a sè, costruendo nei fatti una famiglia dominata dalle donne dove l’uomo è servo o viene messo in disparte (Ippolito, presentato in società e subito affidato a una educatrice). Così, giusto perché  abbiamo fatto poche citazioni, possiamo pensare ai recenti "La chimera" e "Povere creature!" o in generale a un certo cinema femminista a cui, in conclusione, "L’arte della gioia" aderisce uscendo allo stesso tempo, come la sua protagonista, dai tracciati predominanti e dalle convenzioni, evitando ogni intento didattico o di facile compiacimento del pubblico.

L'arte della gioia
Informazioni

titolo:
L'arte della gioia

titolo originale:
L'arte della gioia

canale italiano:
Sky/NOW

creatore:
Valeria Golino

produttori esecutivi:
Sonia Rovai, Erica Negri, Viola Prestieri, Valeria Golino, Gennaro Formisano, Nils Hartmann

cast:

Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi, Guido Caprino, Alma Noce, Giuseppe Spata

anni:
2025